mercoledì 25 giugno 2014

EDS | 5 di 14 | In autostrada


Esperimenti di scrittura, 5 di 14
In autostrada
ovvero se il conducente conduce, perchè lo scrivente non scrivuce?

Il “scrivere”, per quanto si possa pensare (e pretendere battendo i piedi, capricci da scrittore) che si elevi al di sopra dell’umana condizione verso la dimensione iperuranica dell’arte pura distillata ed ideale in accordo con la musica delle sfere, in alcuni casi non si discosta dalle più pratiche delle cose. Alla guida, così come non si deve armeggiare con il cellulare oppure mangiare il gelato, non si deve scrivere. Se invece il “scrittore” è seduto dal lato del passeggero – posto che ci sia qualcuno al posto di chi guida e dunque l’automobile sia mobile – possiamo parlare del “scrivere in autostrada”.

L’accordo iniziale con chi conduce la vettura è fondamentale: che stia zitto; che possa parlare; oppure che debba alternare silenzi a considerazioni; a seconda che il “scrittore” sia nel novero di quelli che hanno bisogno di totale silenzio, di totale rumore di fondo, oppure di una certa dose di disturbo casuale durante il “scrivere”. Accordo facile da prendere nel caso di conducenti parenti o amici, meno nel caso in cui il “scrittore” sia salito a bordo di un’automobile casuale, magari r-accolto durante l’autostop; ma è dalla metà degli anni ottanta che non vedo più autostoppisti ai caselli, perchè? E’ vietato (siamo diventati rispettosi della legge), oppure è pericoloso (con quello che si legge sui giornali), oppure siamo più ricchi (abbiamo tutti una macchina), oppure ancora non viaggiamo più on the road (bye bye beat generation).

Seconda cosa: occorre inventare un neologismo per quel suono di viaggio in autostrada, un’orchestra formata da ruote sull’asfalto, motore, cambi di marcia, frizione, finestrino abbassato, freccia a sinistra e poi a destra in caso di sorpasso (e di conducente diligente), in alcuni casi pioggia dunque tergicristalli. Orchestra guidata (fantastico, Marinetti Balla Boccioni Russolo approverebbero) dal conducente. Lo chiamerei viaggìo, con l’accento sulla i. Dunque il “scrittore” che si accinge al “scrivere in autostrada” fa i conti immediatamente con il suono/rumore di viaggìo, che in larga parte è considerato una buona colonna sonora per il “scrivere”, concilia il raccoglimento, scioglie i nodi della mente, una sorta di mantra contemporaneo che tutto sommato rilassa, mi chiedo se non contenga anche un retrogusto amaro, velenoso, di civiltà delle macchine.

Se e quando il conducente decide un sorpasso, c’è un momento preciso e abbastanza breve in cui il “scrittore” può gettare uno sguardo dentro l’abitacolo della vettura sorpassata, un’istante di invasione della privacy, chi sa che non possa dargli ispirazione per quello che sta scrivendo. Altra cosa è il sorpasso di autoarticolati oppure mezzi pesanti, assolo rombante e leggera ansia finchè non ci si è allontanati. Dipende dalla macchina, ma le vibrazioni e del motore e dell’asfalto rendono la scrittura a mano meno precisa, gli spostamenti laterali della vettura inducono ad attendere un attimo prima di appoggiare di nuovo la penna sul foglio, così come lo scalare delle marce – ma dipende dall’abilità del conducente, che a questo punto dovrebbe aver capito di avere un ruolo di responsabilità nei confronti del “scrittore” – e si spera sempre di non fare esperienza di frenate brusche, lo spavento non si addice al raccoglimento necessario al “scrittore”.

Se il “scrittore” interrompe momentaneamente il “scrivere”, per riflettere su un’idea, e guarda fuori dal finestrino, vede le cose vicine passare veloci e le cose lontane invece lentamente, e quelle lontanissime ferme. Scatenatevi pure con le metafore, ma resta il fatto che si tratta di una questione di vettori e di prospettiva che si danno la mano. A latere delle condizioni atmosferiche, il “scrittore” che scrive durante un viaggìo fa esperienza di: caselli autostradali (sicuramente), lavori in corso (quasi sicuramente), autovelox (dipende dalla tratta), gallerie (dipende sempre dalla tratta), autogrill (dipende dalle scelte del conducente), incidenti stradali (si spera mai per sè e per gli altri). Tutti questi incontri possono interrompere fatalmente il “scrivere” oppure dargli nuovo impulso. Un amico mi raccontò di un malato terminale di cancro che si fece trasportare in viaggio sulle autostrade francesi, senza mai uscire ai caselli, visitando gli autogrill come se fossero moderne cattedrali/musei. Forse si trova qualche filmato su Youtube.

Ricordo anche di cartelli autostradali con le lampadine che si illuminano e servono a formare frasi di senso compiuto, per avvisare di varie cose gli automobilisti, ed in particolare cito: “Proteggi i tuoi bambini con la cintura di sicurezza” (e la nonna che si arrangi, aggiungo io); “Avvistato animale girovago” (ero stato io, a telefonare a quelli delle autostrade per avvertirli che c’era un cane che trotterellava tranquillo sulla corsia di emergenza, avevo provato a recuperarlo ma era fuggito in direzione opposta a quella di marcia; perchè generalizzare con “animale girovago” invece che “cane”? Non si fidavano della mia percezione dei fatti? Pensavano che avessi scambiato per cane un cinghiale? Un procione?)

L’ultima considerazione riguarda il “scrivere” e la lunghezza del viaggio. Finchè c’è benzina, e finita la benzina finchè ci sono soldi per rabboccare il serbatoio, il viaggio e il viaggìo proseguono. Il “scrittore” sta tornando a casa? Sta andando via di casa? Credo che questo faccia qualche differenza nel “scrivere”. Sa dove è diretto? Non sa quanto durerà il viaggio? L’uscita dall’autostrada, l’ultima curva prima dell’arrivo, concedono che – affrettando la scrittura – si possa terminare la pagina in modo coerente? Capita mai che si finisca il “scrivere” prima dell’arrivo, e allora per il resto del viaggio come si può impiegare il tempo? Si può trovare un conducente abbastanza empatico da capire quando basta, è il momento di cessare il viaggìo e quel che è stato è stato che va bene così? E forse tutto si riduce al pensare se il “scrittore” possa restargli amico, nonostante sia il conducente a decidere quando arriva la parola fine.

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