lunedì 31 marzo 2014

Damnatio memoriae – idee sparse


Damnatio memoriae – idee sparse
ovvero sul tradurlo erroneamente in: “la dannazione della memoria”
e (pur travisando) non sbagliare poi di molto.

0 - La memoria storica, ed i problemi che porta con sè: raccontare con parole (inadeguate) qualcosa a qualcuno, perchè ne abbia memoria, cioè abbia memoria di una cosa che non ha vissuto in prima persona.

1 - Da bambino ho ingoiato una gomma come questa:



non ricordo esattamente la dinamica dell’episodio, ma: se nessun gesto è casuale, uno psicologo potrebbe chiedersi che cosa volevo cancellare dentro di me.

2 - La memoria del pesce rosso dura circa 3 secondi. Però, di fronte ad uno stimolo ripetuto un certo numero di volte (ad esempio la vista della scatoletta di cibo), il pesce rosso sviluppa un istinto che lo porta a successive reazioni adeguate. Non si avvicina alla vostra mano per affetto, no. A meno che non vogliamo pensare che istinto e affetto possano coincidere.

3 - La memoria umana (per quello che al momento si sa) tende - tra le altre cose - a sovrapporre eventi simili, e a ricordare invece più facilmente eventi dissimili. Più facile avere memoria di un incidente, oppure di una bella sorpresa, piuttosto che di ciò che si è mangiato ieri.

4 - C’è un videomaker, di cui non ricordo il nome (il dvd del quale ho prestato tempo fa ad un’amica che si è poi dimenticata di restituirmelo), che per un arco di tempo incredibilimente lungo, con molta costanza, ha filmato spezzoni della sua vita, dall’adolescenza fino ai quarant’anni (circa, credo). Eventi quotidiani; eppure con un obbiettivo puntato ferocemente sull’esistenza quale essa è, nuda e senza didascalie oppure tentativi di spiegare i perchè. Ricordo in particolare: il mattino del suo risveglio nel letto del suo fidanzato, e la telefonata con la quale lo avvisavano dell’aggravamento della madre ricoverata in un ospedale psichiatrico.

5 - Libri da leggere, perchè sarebbe troppo lungo da spiegare qui (e mi sfuggono dettagi importanti, la mia sarebbe solo, seppure appassionata, un’approssimazione), anche a proposito della memoria: “La singolarità è vicina” di Ray Kurzweil (credo che si siano ispirati largamente a questo libro, per l’ultimo film con Johnny Depp, mi sfugge il titolo) e “Anelli dell’io” di Douglas Hofstadter, un testo scientifico non privo di grande poesia ed umanità.

6 - Quando ero ragazzo per fare un videogioco bastava una manciata di kb su un floppy disk. Oggi si parla di gigabite. Una frase simile a quella precedente è stata scelta e riportata sul catalogo di una delle mostre dedicate alla Game Art, organizzata da Debora Ferrari, ma non ricordo esattamente il titolo del catalogo.

7 - Anche se non è propriamente così, mi piace accostare l’idea della memoria “dislocata altrove” (vedo Cloud vari) all’idea di Akasha, la banca dati universale che contiene non solo la memoria del mondo (e dei singoli individui) ma anche, in qualche modo, quella futura (secondo alcune intepretazioni dell’induismo). E ciascuno di noi attinge all’Akasha, alla sua parte di memoria individuale, anche se – alle volte – perde la frequenza giusta e si collega a ricordi di cose passate oppure future non proprie.

8 - C’è questo sistema formidabile, in Rete, per inviare mail che si autodistruggono. Si scrive il messaggio in un apposito riquadro, si copia il link e si inserisce nella mail che si vuole mandare; e il destinatario potrà leggere una volta sola il messaggio digitato. Ad una seconda visita al link il messaggio non compare più. Credo che lo userò per una performance.


9 - Lista: l’ossessione degli antichi per la sopravvivenza attraverso il ricordo negli altri; il loro terrore per la morte in mare, senza sepoltura; il cannibalismo rituale come forma di sopravvivenza di una parte di sè negli altri membri della propria tribù; gli aedi e le storie orali, di generazione in generazione; la Biblioteca di Alessandria che brucia; i falsi ricordi (cause organiche oppure psicologiche), per camuffare un trauma (quelli degli abducted dagli alieni?) oppure le cose che crediamo di ricordare ma eravamo troppo piccoli per ricordarle davvero.

10 - Premesso che è molto difficile decidere quanta sofferenza è utile per evolversi ed uscire dalla propria area di comfort, e quanta invece è inutile e dannosa e quindi da fuggire: sarebbe interessante mettere in relazione questo aspetto con quello che spiega perchè la mente ricorda oppure no, e quanto sia utile o meno all’esistenza (muovendosi tra, e tenendosi alla larga dai due opposti, cioè ricordare tutto e non ricordare nulla).

11 - Quando spostiamo un file nel cestino e lo svuotiamo, non abbiamo realmente cancellato il file (questo ormai lo sanno quasi tutti, eppure la polizia scientifica continua ad inchiodare criminali alle loro responsabilità con questo trucchetto). In realtà il file è ancora lì, semplicemente abbiamo detto al nostro pc o mac: scrivici pure sopra, questo non mi interessa più. Per questa ragione, se il pc o il mac non ha ancora riscritto un altro file sulla stessa parte di disco rigido dove è conservato il file cancellato, è possibile recuperarlo facilmente. Viceversa, esistono in Rete programmi (sia gratuiti che a pagamento) che provvedono a scrivere e riscrivere, sullo stesso file da cancellare, molte volte files fittizi; così che non sia possibile recuperare il file originale. Il termine palinsesto ha a che fare con questa cosa: si grattava la pergamena (che costava cara) per poterci scrivere di nuovo sopra.

12 - La “damnatio memoriae” era la pratica con la quale, nel diritto romano, si procedeva alla distruzione di ogni traccia dell’esistenza di una persona: raffigurazioni nei dipinti, statue che la ritraevano, testi che ne raccontavano la vita, oggetti personali. Era una pena inflitta per reati molto gravi, a nemici della patria come ad imperatori spodestati per comportamenti empi. Tuttavia, bisognerebbe rivalutare certe figure del passato, dal momento che la storia, così come noi oggi la leggiamo, la scrivevano solo coloro che potevano permetterselo, e fare in modo che la loro testimonianza rimanesse nel tempo. Per esempio, se ai senatori un certo imperatore non andava a genio, non ci voleva poi molto che lo dipingessero per le generazioni future come un pazzo scriteriato. E’ un po’ il discorso che la storia la fanno i vincitori. Oppure, chi ha le televisioni.

13 - (senza titolo)




14 - Si considerino tutti i punti di cui sopra come mai scritti. Si consideri come mai scritta la frase precedente. Anche la frase precedente. Anche la frase precedente...

15 - ...otteniamo così un particolare tipo di buco nero, un BNR ovvero un Buco Nero Ricorsivo, che infinite volte ingoia se stesso senza mai digerirsi; e mostra a chi sta al di fuori (e ben lontano, se ha cara la vita) dall’orizzonte dei suoi eventi (termine mutuato dal gergo della fisica) soltanto l’atto del cancellarsi infinite volte, e paradossalmente palesando proprio ciò che cerca di nascondere ed eliminare. E nulla più.



martedì 25 marzo 2014

Bulgini - Locale provvisorio adibito al rilascio di visti d'ingresso... starts April 01, 2014 at 07:30PM

42 sono i secondi necessari per capire che quest'anno la primavera porta aria fresca nell'arte e nella cultura. Martedì 01 Aprile presso la Sartoria Creativa in via S. Maria 6/H Alessandro Bulgini con "LOCALE PROVVISORIO ADIBITO AL RILASCIO DI VISTI D'INGRESSO ALLA BARRIERA NORD" inaugurerà la Stagione d'arte "42", ideata e curata da The Shivers (Michele Di Erre e Andrea Gagliotta). La serata avrà inizio alle ore 19.30 con un incontro informale con Alessandro Bulgini. Alle ore 21.30 è prevista l'inaugurazione con un aperitivo tardivo e l'incontro con gli artisti che parteciperanno alla stagione. La serata prosegue con un intervento performativo a sorpresa del gruppo "AttioSceneinLuogoPubblico" tratto da "IL BICCHIERE DELLA STAFFA". 000 - “LOCALE PROVVISORIO ADIBITO AL RILASCIO DI VISTI D’INGRESSO ALLA BARRIERA NORD” Alessandro Bulgini: "Ho pensato con questo mio intervento che mi vede de localizzato dalla periferia per il centro , di realizzare uno spazio entro il quale vengono rilasciati i permessi per l’ingresso ad una ipotetica zona nord dalla quale dipendo. Zona ben delimitata e controllata dove non è ben chiaro se il privilegio sia al di fuori o dentro di essa. Dentro questo locale sono presenti gli oggetti ad uso di chi lo vive, oggetti che hanno sia una funzione diretta all’espletamento del compito burocratico per il quale lo spazio è stato aperto, sia oggetti per la difesa della postazione, e per ultimo oggetti personali che servono a rendere più lieto il tempo trascorso in tale luogo provvisorio. Per due settimane la mia presenza avrà anche il compito di mantenere questa favorevole posizione in quota, da dove poter osservare gli andamenti di zone altre, li dove apparentemente accadono le cose più salienti per il destino di tutti." http://ift.tt/1eBSjVu http://ift.tt/1fYhqSc

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domenica 23 marzo 2014

Evolution loves Glitch


Evolution (and Darwin) loves Glitch
ovvero i corsi ECDL non vi hanno detto proprio tutta la verità.

Alle scuole superiori girava (viralmente) un ritornello che diceva:

La filosofia è quella cosa
con la quale e senza la quale
la vita resta tale e quale

Riferito al mio professore di filosofia, il ritornello era assolutamente vero.
Si limitava a leggere intere pagine dal libro di testo, e obbligava noi studenti a prendere appunti, perchè “scrivendo si memorizza meglio”, diceva lui. Vero, forse, ma niente di più: mi insospettiscono coloro che hanno un solo comandamento, in questo caso “Non avrai altro metodo al di fuori di questo.”

Riferito a quello che ho sentito dai docenti universitari, il ritornello era forse vero.
Sentivo aleggiare però nelle aule un sottile odore di formaldeide, come se Platone, Kant ed Hegel fossero stati impagliati ad uso e consumo di un sistema scolastico inappropriato e fuori tempo, oltre che per placare la disposofobia dei docenti stessi, forse anche il bisogno di circondarsi di cose morte per sentirsi vivi, chi lo sa, l’ossessione di voler controllare tutto quando ormai si sentono le urla dei barbari ai confini del regno.

Riferito a quello che è la filosofia nella sua natura intima, decisamente falso.
Nascosta nelle pieghe della storia, è forse la trama e l’ordito sui quali ciascuno di noi si muove, prende le proprie decisioni, per sè e per gli altri, ed in un certo senso, a vari livelli, fa quella cosa chiamata storia, forse con azioni sempre troppo limitate, di fronte al disembedding di un potere lontano ma che ha conseguenze vicine.

Ma non è di un ritornello che scriverò in questo pezzo, bensì del glitch.

Una breve ricerca su wikipedia vi renderà e-dot.ti sul fatto che glitch è un termine usato in: elettrotecnica > per indicare un picco breve e improvviso in una forma d’onda, causato da un errore non prevedibile; dai tecnici del suono > ed indica quando le saldature di un cavo stanno per saltare; nel mondo dei videogames > per descrivere bugs nel software che, sfruttati a proprio vantaggio, permettono azioni che normalmente la struttura del gioco non prevederebbe (passare a livelli successivi velocemente, ottenere punteggi incredibili, diventare invulnerabili et similia). Dal punto di vista di Superman > la ridotta gravità terrestre è un glitch che gli permette di fare cose che voi umani non potreste immaginare.

Una ricerca un po’ più approfondita in Rete vi renderà e-dot.tissimi sul fatto che il termine glitch fu usato per la prima volta da John Glenn, nel 1962. Arruolatosi come pilota nel Corpo dei Marines in seguito all’attacco di Pearl Harbor, sopravvisse alla campagna delle isole Marshall e alla guerra di Corea, a differenza di (circa) 37.000 suoi commilitoni, e venne selezionato dalla Nasa dopo essere diventato pilota collaudatore. Fu il primo statunitense ad andare in orbita, restandoci per 4 ore e 55 minuti. Fu proprio durante questa missione, la Mercury-Atlas 6, che John Glenn disse, riferendosi ad alcuni problemi all’hardware del suo veivolo

“Literally, a glitch is a spike or change in voltage in an electrical current.”

Sul Canadian Oxford il termine glitch è inserito nella lista delle parole usate nel ventesimo secolo di cui non si conosce l’origine; sul Random House’s American Slang, invece, la sua etimologia viene fatta risalire alla parola tedesca glitschen e/o alla parola yiddish gletshn (in entambi i casi, “scivolare”). Perbacco. Come ci sarà finita sulle labbra del patriota statunitense John Glenn?

Nel gennaio 2002 il collettivo Motherboard promosse un simposio dedicato a tutti quegli artisti che lavoravano nell’ambito del glitch, ovvero: da un malfunzionamento tecnico, analogico oppure digitale, casuale oppure indotto (operando direttamente sull’hardware oppure a livello di codice) traevano materiale per le loro opere d’arte. Il glitch, in quanto difetto, ispirava artisti visivi, videomakers e musicisti, che ne hanno fatto un elemento estetico nelle loro opere.

Appurato tutto questo, scendiamo nel dettaglio.
Il glitch nelle opere d’arte multimediali, nelle immagini oppure nei video.

Ecco la ricetta.

1 - Scegliete un file .jpg di vostro gradimento. Una vostra selfie andrà benissimo, via.
2 - Cliccate con il tasto destro del mouse sul file, e aprite il file con un editor di testo.
3 - Vedrete una cosa “incomprensibile” simile a questa:



Il Grillo Parlante dei corsi ECDL ci ha sempre detto che non bisogna pasticciare i files in questo modo, perchè dopo non funzionano più. E’ vero, ma noi siamo curiosi, creativi, insolenti, non gli diamo retta e ci mettiamo mano, in uno o più dei seguenti modi, in ordine crescente di creatività:

> scrivendo cose a caso (adèfa235t798$%&/sàdioàasdf+aisjg03w88q4+q84tèf)
> scrivendo frasi di senso compiuto, poesie, copiando citazioni dai vostri libri preferiti
> asportando parti di codice (poche lettere oppure decine di righe)
> copiando e re-incollando intere parti di codice (la danza del ctrl-c ctrl-v)
> aprendo un secondo file (un altro .jgp, o quello che vi viene in mente) e innestando parti del codice di quest’ultimo nel file .jpg che state manipolando

Quando le pulsioni della vostra vena creativa hanno trovato soddisfazione...

4 - Chiudete il file e salvate con la stessa estensione che aveva in precedenza .jpg
5 - Cliccate sul file per aprire l’immagine e ammirate il risultato. Emozionati?

A volte il file è troppo corrotto, e non si vede niente.
Altre volte non si nota alcun cambiamento apparente.
Altre ancora il risultato è un immagine affetta da uno o più glitch.
Serve un po’ di esperienza per ottenere risultati apprezzabili con la tecnica del glitch indotto: quali parti di codice andare a manipolare, cosa togliere e che cosa no, affinchè l’immagine risulti almeno visibile. Comunque, in tutto il processo c’è una buona dose di casualità.

Ve l’avevo detto di fare una copia di sicurezza del file originario? No?

Peccato, avrei dovuto avvisarvi. Il file originario è perso per sempre.

C’è poco da disperarsi. Abbiamo semplicemente accelerato un fenomeno che riguarda (non solo) la materia della Rete: per quanto possa sembrare eterna è comunque conservata su supporti magnetici, che sui lunghissimi tempi tendono a s-magnetizzarsi, a meno che non vengano fatte periodiche copie; un po’ quello che fa la natura quando cerca di sopravvivere al decadimento e alla morte, replicando se stessa.

Anche in natura, guardacaso (ma neanche troppo -caso, visto che la Rete, effetti di composizione a parte, è un “prodotto” dall’uomo, che è a sua volta è un “prodotto” della natura), esiste qualcosa che potremmo chiamare glitch; tanto caro a Darwin quando pensò bene di raccontare la storia dell’evoluzione in modo un po’ diverso da come la vedevano invece i creazionisti; tramite variazioni casuali del patrimonio genetico e glitch le specie si evolvono.

La discussione è ancora aperta, soprattutto negli Stati Uniti – ehi, patria di quel John Glenn che per primo disse “glitch!” - alcuni preferiscono pensare ad un IDD, Intervento Divino Diretto, che ci ha portati ad avere due occhi, due mani, una bocca etc; altri che sia il risultato di una serie di mutazioni casuali, le migliori delle quali hanno favorito certi organismi viventi; altri riesumano Lamarck, che forse si è espresso male ma non aveva proprio tutti i torti, considerando che il comportamento di vita dei genitori va ad influenzare (riassumendo al limite del fraintendimento) il patrimonio genetico che verrà trasmesso alla prole; altri ancora che ci sia un’intenzione precisa dietro a quelle mutazioni, un’idea estetica e funzionale, e che la natura tenda al bello.

Poi ci sono gli OGM, che in fondo sono glitch perchè non sappiamo (oppure sappiamo ma fa comodo far finta di no) tutte le conseguenze del loro inserimento nell’ecosistema.

Poi c’è la creatività, che forse funziona grazie ai glitch, quando improvvisamente vedi la realtà da un punto di vista totalmente diverso e ti chiedi come mai, che cosa sia successo.                                                                         

Insomma, tutti cercano di capire se chi ha aperto il file e ha pasticciato con il codice avesse idea di che cosa stava facendo o meno. Insomma:

Il glitch è quella cosa
con la quale e grazie alla quale
la vita non resta mai tale e quale
se ti va bene, il risultato è bello e funzionale
se ti va male, non sai bene chi ringraziaLe


venerdì 21 marzo 2014

Glitch Art

Glitching andrea_roccioletti.jpg with andrea_roccioletti.jpg

 

Glitching alessandro_bevilacqua.jpg with infinito_leopardi.doc

 

 Glitching iona_li_rube.jpg with libellula.jpg

 

 Glitching paolo_notario.jpg with video.mov

 

venerdì 14 marzo 2014

42





About 42

42 è il titolo della prima Stagione d'Arte Contemporanea che si terrà presso gli spazi della Sartoria Creativa di Via S.Maria 6/h Torino dal 1 aprile al 3 agosto 2014. Saranno nove gli artisti che ogni 13 giorni allestiranno la propria personale. Ogni vernissage sarà accompagnato da un buffet e dall’incontro con l'artista, mentre ogni finissage terminerà con musica, videoarte o performance. L’incontro con l’artista è l’aspetto innovativo dell’evento poiché permette di fruire l’arte attraverso un’esperienza diretta e allo stesso tempo diventa momento di confronto importante con il suo spettatore. Le domande possono essere di carattere generico e non sono riservate a soli intenditori ma anzi si promuove la partecipazione di ogni interlocutore di genere, età, provenienza. A sua volta l'artista potrà chiedere al pubblico cosa percepisce dei suoi lavori. In questo modo si crea un'opportunità di alimentazione reciproca.
La mostra diviene dunque luogo d’incontro e occasione di confronto.
Perché si è scelto di chiamarla 42?
Per i personaggi di Douglas Adams nel romanzo “guida galattica per gli autostoppisti”, 42 è “La risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto”. Nel romanzo, per cercare la risposta, viene costruito un supercomputer chiamato “Pensiero Profondo” che, dopo una lunghissima elaborazione, fornisce come risultato "42". Lo stesso computer però suggerisce che il problema è che “voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda”. Il punto nodale di questa stagione sono le domande, poste dal avventore all’artista e viceversa. Porsi domande continuamente e la curiosità sono l'unica vera fonte di sapere.

L’ingresso all’evento sarà a offerta libera, perché chiunque possa dare un contributo a seconda della propria possibilità. Parallelamente si cercano finanziamenti attraverso il crowfunding perché il progetto possa essere realizzato al meglio.

Chi siamo

The Shivers è un gruppo di giovani artisti composto da Michele Di Erre e Andrea Gagliotta.
Il duo collabora già da 3 anni iniziando con piccoli interventi performativi tramite giochi ispirati ad esercizi di disegno che stimolano la pratica creativa come crescita e miglioramento interiore. Coinvolgono nelle loro performance pubblico di tutte le età ed estrazioni sociali.

Nel 2013 sentono la necessità di organizzare una temporanea mostra d'arte che includa nuovi talenti artistici e di iniziare un percorso volto a promuovere eventi multidisciplinari, dove le arti si uniscono per generare un nuovo mood culturale.

42 artecontemporanea



venerdì 7 marzo 2014

L'Etichettatore, ovvero: anatomia del fallimento


L'ETICHETTATORE
ovvero: anatomia del fallimento

Dopo le “poesie murali” di Melina Riccio (che trovate qui) e i disegni sulle cabine di manutenzione dell’Enel dell’Anonimo Pornografico (che trovate qui), con questo nuovo pezzo proverò a raccontare dell’Etichettatore.

E’ necessario vivere a Torino da tempo per accorgersi dell’Etichettatore, ed avere molto spirito di osservazione. A me sono serviti anni per arrivare a capire che certe etichette adesive viste sui muri della città non erano casuali, bensì opera della stessa mano, di qualcuno che operava (e ancora oggi opera) in modo sistematico.

Il primo intervento dell’Etichettatore in cui mi sono imbattuto risale, credo, a dieci anni fa. Alla fermata dell’autobus numero 61 avevo notato su un palo un’etichetta bianca, di circa 5X3 centimetri, posizionata con il lato lungo orizzontale, scritta in stampatello, probabilmente con una penna a sfera.

Non ricordo il gioco di parole scritto su quell’etichetta adesiva, e purtroppo oggi quel palo è stato rimosso per fare spazio ad alcuni lavori stradali di ampliamento del marciapiede. Molti mesi dopo, passeggiando per via Po, notai un’altra etichetta adesiva: stesso formato e stesso stile di scrittura. Altro gioco di parole che non ricordo esattamente.

Insomma, di tanto in tanto e a distanza di tempo mi capitava di trovare queste etichette. Più o meno sempre le stesse dimensioni, scritte a penna a sfera, alcune volte sottolineate con un evidenziatore giallo oppure arancione. Poi, per un po’ di tempo, non ne vidi più. Forse c’erano e non prestavo abbastanza attenzione, forse comparivano in zone della città lontane dai miei percorsi abituali, forse l’Etichettatore si era preso un momento di pausa dalla sua impresa etichettatrice.

Tornarono alla mia attenzione quando la Stampa, il 26 agosto del 2008, riportò quel brutto episodio avvenuto al monastero di San Colombano, a Belmonte: quattro frati erano stati picchiati selvaggiamente da una banda di malviventi. Gli inquirenti seguivano varie piste, e prima di trovare i colpevoli (che osservavano da tempo i frati, e avevano intenzione di rubare i soldi delle offerte), notarono alcune piccole etichette adesive su uno dei muri del monastero. La foto che corredava l’articolo era quella di una delle etichette adesive che avevo visto anch’io. Non era quella la pista corretta, non c’era nessuna relazione tra il fatto e le etichette, ma in un lampo mi ero reso conto che il misterioso Etichettatore operava anche fuori dai confini cittadini.

Nuovamente, per molti anni, durante i miei spostamenti a piedi per la città non ho più notato alcuna Etichetta Adesiva. Fa un certo effetto raccontare una storia misurandola in “anni”, oggi che tutto è immediato ed in tempo reale. 

Qualche giorno fa, sulla porta antincendio del negozio dove lavoro, è spuntata una nuova Etichetta Adesiva, esattamente come le altre, e sempre scritta a mano.
A distanza di dieci anni e più dalla prima che ho notato.
L’Etichettatore è ancora all’opera, dopo tutto questo tempo. Scatto una fotografia ed inizio a pensare ad un pezzo che racconti questa cosa curiosa.



Vorrei provare a ritrovare le altre che ho notato anno dopo anno per fotografarle, ma non ho abbastanza tempo per dedicarmi a questa cerca. Eppure, sono fortunato: per caso ne trovo un’altra dalle parti di via sant’Agostino.



Che cosa c’è scritto su queste etichette? Da quello che ricordo delle prime avvistate, e dalle ultime che ho avuto modo di fotografare, si tratta di giochi di parole volgari e  piuttosto stupidi; spesso anticlericali. Si potrebbero ad un primo sguardo anche definire opera di un omofobo, tuttavia l’accento sembra posto più sull’ipocrisia di chi si professa contro e poi si comporta diversamente.
Un esempio, che spesso ho ritrovato ripetuto su molte etichette:

VA-TIC-ANO

Su molte altre etichette c’erano nomi e cognomi di persone, che naturalmente non riporto per motivi di privacy. Su alcune si trovavano anche commenti a proposito delle brutture del mondo del lavoro e dei nuovi contratti interinali, ChiChiChi, CoCoCo, GuruGuruGu QuaQua (cfr Pippo Franco)

A latere di quanto si trova scritto su queste etichette (servirebbe un campione abbastanza ampio per poter tracciare un profilo) e del perchè lo faccia, mi lascia allibito la costanza dell’Etichettatore. Andare avanti per anni a compiere un’azione che... stavo per scrivere: “è senza senso, senza un risultato effettivo”, ma mi sono fermato.

Parliamo dunque delle azioni impossibili, e dell’anatomia del fallimento.
Perchè un’azione fallisce?

Perchè l’obbiettivo è impossibile.
Vorrei svuotare il mare con un cucchiaino, goccia a goccia.

Perchè l’esecutore dell’azione non è capace di portare a termine quell’azione.
Vorrei alzare cento chili, ma i miei muscoli non sono abbastanza sviluppati per farlo.

Perchè la società è contraria a quel tipo di azione, e la ritiene inopportuna.
Vorrei recintare e appropriarmi di un appezzamento di terreno, ma è suolo pubblico.

Possiamo annoverare poi altri due fattori di fallimento:

Il fattore casuale.
La freccia non ha centrato il bersaglio perchè un colpo di vento l’ha spostata.

La visione errata.
Vorrei volare per lunghi tratti con  un marchingegno a pedali, ma fisicamente è impossibile.



Torniamo al nostro Etichettatore. Lasciamo da parte le nostre supposizioni a proposito del perchè agisca in questo modo, e proviamo ad applicare quanto scritto proprio qui sopra.

Impossibilità fisica: se vuole tappezzare tutta la città di etichette adesive, probabilmente siamo nel campo dell’impossibilità fisica; certo, potrebbe anche farcela, ma consideriamo che quando avrà quasi completamente ricoperto il quartiere di San Salvario, altre etichette a Santa Rita si saranno staccate, palazzi già ricoperti saranno abbattuti, nuovi edifici saranno stati costruiti.

Incapacità personale: l’Etichettatore non ha il tempo necessario per attaccare tutte le etichette che vorrebbe: deve pur dormire, mangiare, spostarsi da un luogo all’altro. E soprattutto, per quanto possa vivere a lungo, non gli basterà il tempo della sua esistenza terrena per portare a termine il suo compito.

Convenzione sociale: le etichette adesive non si devono attaccare, i muri non sono di proprietà dell’Etichettatore, e le cose che scrive potrebbero essere false e diffamanti. Se vuole “sensibilizzare” la città su alcune questioni, lo sta facendo in modo inefficace. Essendo però io stesso portatore sano? insano? inconsapevole? di convenzioni sociali, mi chiedo: nel mio giudicarlo male sto applicando categorie che mi sono state inculcate e di cui non mi accorgo, che ritengo scontate, oppure sono realmente convinto della loro “giustezza”? Se l’Etichettatore è spinto nel suo agire da un’ossessione, di cui forse non si rende conto appieno, altrettanto lo sono io nel giudicarlo, portato da convenzioni sociali che ho assorbito in parte senza rendermene conto.

Intermezzo: il Gran Pertus.

In piemontese, “pertus” significa “buco”. Il Gran Pertus è una galleria lunga 433 metri, scavata attraverso la montagna di Chiomonte, in Val di Susa, da Colombano Romean. Per scavare questa galleria il signor Romean ha lavorato dal 1526 al 1533, per 7 anni consecutivi, mentre gli abitanti della valle lo schernivano e gli davano del pazzo. Oggi i campi e i prati delle borgate di Cels e Ramats sono verdi e fertili, grazie all’acqua che attraversa questa galleria e arriva dalla vicina Val Clarea, dall’altra parte della montagna. Il Pertus è anche percorribile dagli escursionisti, con l’ausilio di torce, attrezzatura e vestiario adeguati.

Sono sicuro che al mondo ci siano migliaia di persone impegnate in progetti assolutamente “impossibili”. Alcuni sono impossibili fisicamente, altri destinati a fallire per incapacità naturale degli esecutori, altri invece socialmente non accettati, perchè la società non può oppure non vuole accogliere questi cambiamenti. E sono altrettanto sicuro che il 90% di queste imprese “folli” falliscano senza che nessuno se ne accorga, e vadano persi così, “come lacrime nella pioggia”.


Alcune, magari assistite da una buona dose di fortuna, giungono invece a compimento, e allora potrebbero essere una delle Sette Meraviglie del Mondo, grandi trasformazioni sociali, scoperte scientifiche rivoluzionarie. Un elemento però accomuna tutte queste opere: la costanza e la tenacia di chi le ha: prima pensate, poi tentate. L’ingrediente senza il quale lo Stupore non si manifesta è una buona dose di non-buon-senso.

Credo anche che esistano le I.I.I., le Inconsapevoli Imprese Impossibili, molto diffuse e forse anche tentate da alcuni di noi; destinate a fallire nonostante siano socialmente accettate (anzi, addirittura incoraggiate): essere felici accumulando denaro, oggetti, notorietà; oppure il grande rimosso ma segretamente desiderato: vivere per sempre. Il fatto che siano socialmente accettate non è automaticamente un sostitutivo della bontà di queste imprese.

Mi chiedo anche se: non sia uno sforzo per cui valga la pena di impegnarsi > quello di dare più ampia possibilità affinchè le imprese impossibili-ma-importanti abbiano impossibilità di accadere; e la casualità oppure la cecità delle convenzioni sociali (più comode, a volte, che necessarie) non le soffochino ingiustamente, prima che possano essere provate sul campo.

Per concludere, tornando al misterioso Etichettatore, mi chiedo: al netto del fatto che sia ancora attivo ed in circolazione, ed io incroci le sue etichette adesive, perchè ora le noto meno? Oggi non giro più per le strade della mia città come una volta? Sono più disattento? La mia percezione selettiva della realtà ferma la mia attenzione su altro?

Aggiornamento 9 novembre 2014




lunedì 3 marzo 2014

OBLITERAZIONI - NamVisualArt starts March 04, 2014 at 06:00PM

Obliterazioni è un nuovo progetto inclusivo, partecipato che mette in relazione l'arte con locali, negozi, realtà produttive e sociali... per costruire insieme un'avanguardia culturale Segni ospitati in spazi inusuali per dar forma alla qualità e stimolare un atteggiamento attivo, etico, responsabile. - mostra d'arte presso la MEZZALUNA - interventi in giro per la città ideato da Gian Luigi Braggio, il progetto vede la partecipazione di: Carla Bertola, Alberto Vitacchio, Lisa Parmigiani, Mimmo La Grotteria, Alessandro Fioraso Inaugurazione martedì 4 marzo 2014 a partire dalle ore 18:00 http://ift.tt/NmLOiD * * * SIAMO TUTTI ANTIPODI DI QUALCUNO Installazione presso Naturalmente, Via Sant'Agostino, 22 B. Torino Descritti da Platone nel Timeo e da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia, il loro nome è composto da “antì” (contro) e “podos” (piede): hanno piedi capovolti, il calcagno avanti e le dita dietro; abitano dall’altra parte del globo. Credere nella loro esistenza significava, per i greci del tempo, accettare la teoria della scuola pitagorica secondo la quale la terra è sferica (e che ogni oggetto tende a cadere verso il centro di essa). I padri della chiesa invece rifiutarono questo modello geografico ma soprattutto sociale, affermando viceversa: la terra è piatta, siamo al centro di essa, e il cielo con il sole, la luna e le sue stelle è una bella cupola messa lì a ruotare apposta per noi. Se per la la cristianità l’antropocentrismo era un valore, per i Greci era questione di relativismo: noi di qua, loro di là, le stagioni al contrario, il sole che sorge da un lato invece che dall’altro, idem per la luna. Anzi, non erano antropocentrici nemmeno nella simbologia del corpo umano: Per nulla scoraggiati dalla posizione periferica dei piedi, i poeti greci ne fecero un simbolo: Achille “piè veloce” e Teti “dal bianco piede” (Omero), l’enigma dell’animale che da giovane cammina su quattro, nella maturità su due e nella vecchiaia su tre piedi (la Sfinge), “Non mi piace un capitano tutto ricci e spocchia [...] me ne basta uno i cui piedi siano ben fermi e sia pieno di ardimento” (Archiloco), “Le fanciulle si muovevano in danza coi bianchi piccoli piedi” (Saffo), “i miei piedi non lasciano la casa che mi accoglie” (Erinna). Quando guardiamo verso il basso, perchè un oggetto c’è sfuggito dalle mani ed è caduto (forse Sigmund Freud direbbe che il nostro inconscio l’ha lasciato intenzionalmente cadere) osserviamo implicitamente una delle quattro interazioni fondamentali della fisica: la gravità. Per la fisica classica: forza conservativa agente fra i corpi; nella relatività generale: una conseguenza della curvatura dello spaziotempo creata dalla presenza di corpi dotati di massa e di energia; per il fisico matematico Erik Verlinde: una forza entropica, un effetto collaterale della propensione naturale verso il disordine; per il Mago Merlino della Disney, invece, una forza potente, ma comunque al secondo posto dopo l’amore: Artù: “Più forte della gravità?” Mago Merlino: “...in un certo senso, è la forza più grande sulla terra.” Che gli antipodi siano dall’altra parte della terra, che siano non solo diversi da noi ma addirittura rappresentino il nostro esatto opposto, e tuttavia: anch’essi sono sottoposti alla forza di gravità, alla massa che attrae, al tempo che scorre, all’entropia che inghiotte tutto. L’universo non fa distinzioni, non consente eccezioni alle sue regole per chi lo abita; noi invece ne abbiamo bisogno, per mettere al sicuro quella cosa transitoria che chiamiamo identità, senza voler prendere coscienza del fatto che siamo tutti gli antipodi di qualcuno. P-Ars Andrea Roccioletti Studio * * * OBLITERAZIONI – Nam Visualart .net di Gian Luigi Braggio Un nuovo progetto inclusivo, partecipato e che mette in relazione l'arte con locali, negozi, realtà produttive e sociali... per costruire insieme un'avanguardia culturale. Segni ospitati in spazi inusuali per dar forma alla qualità e stimolare un atteggiamento attivo, etico, responsabile. Mostra d'arte presso la MEZZALUNA: ristorante vegetariano/vegano e negozio di cibi biologici, p.zza E. Filiberto 8/D – Torino. Interventi in giro per la città. Ideato da Gian Luigi Braggio, il progetto vede la partecipazione di: Carla Bertola, Alberto Vitacchio, Lisa Parmigiani, Mimmo La Grotteria, Alessandro Fioraso, Andrea Roccioletti, Ruxiada... Quella che Levinas aveva definito arte di obliterazione si riferiva all’operazione di nascondere allo sguardo una porzione dell'immagine, interromperne la continuità, l'autosufficienza, tradirne la funzione per lasciare spazio all'interpretazione, al pensiero, ad una visione profonda delle cose al di là delle pretese del bello. Un intervento di obliterazione fa leva sulla potenza critica dell'inespresso, quel Ausdrucklose che per Benjamin è l'elemento che arresta l'apparenza ingannatoria della rappresentazione, interrompe l'autosufficienza del linguaggio per far spazio all'esperienza di verità. L'opera nella sua forma non è conclusa in se stessa bensì dialogante e viva, non esiste per mostrarsi ma per instaurare un rapporto con l'altro, perché in quanto forma sensibile possa diventare porta d'accesso alla dimensione spirituale. Interrompere il consueto, il senso comune, la logica dell'interesse, dell'apparire, il pregiudizio, l'indifferenza: questo è il compito della cultura e dell'arte, invitare ad un atteggiamento attivo, risvegliare la “persona” che sonnecchia in ciascuno di noi. Artista è colui che innesca questo processo, può ritenersi tale non perché offra un oggetto alla devota contemplazione ma nel momento in cui accende e alimenta un dialogo, scende dal piano della rappresentazione alla realtà e vi si mescola: non per giustapporre la sua voce alle altre ma per spargere un seme, un frammento di libertà. Il progetto coinvolge ora la città di Torino, mira a valorizzare la creatività in tutte le sue forme, a farsi inclusivo accogliendo opere di ogni categoria di artisti invitati di volta in volta a partecipare. Segni che si disperdano nel mondo in spazi inusuali a partire da eccellenze produttive, commerciali e culturali, diventano comunicazione nel momento in cui interrompono, bucano la continuità del linguaggio, stimolano la riflessione su temi sensibili superando l'approccio ideologico, si fanno azione, strumento di confronto e di dialogo. Il monaco buddista Thich Nhat Hanh affermava che anche le azioni più semplici come mangiare, bere, camminare, leggere il giornale, acquistare qualcosa, assistere ad uno spettacolo o anche, semplicemente, respirare hanno un’immediata valenza politica: richiamano la necessità della consapevolezza, della responsabilità nei confronti delle cose e degli altri. Dunque, un'avanguardia culturale inclusiva e partecipata che sposti l'attenzione dall'oggetto alla persona e impegni l’arte a percorrere nuove strade, nella prospettiva di un nuovo umanesimo. OBLITERAZIONI: le ragioni filosofiche Obliterazioni nasce come proposta concreta nell’ambito di namVisualArt, orientata in particolare alla città di Torino anche se è di fatto assimilabile ad ogni realtà urbana. Quella che Levinas aveva definito arte di obliterazione si riferiva alla operazione di nascondere allo sguardo una porzione dell'immagine, interromperne la continuità, l'autosufficienza, tradirne la funzione per lasciare spazio all'interpretazione, al pensiero, ad una visione profonda delle cose al di là delle pretese del bello. Un intervento di obliterazione fa leva sulla potenza critica dell'inespresso, quel Ausdrucklose che per Benjamin è l'elemento che arresta l'apparenza ingannatoria della rappresentazione, interrompe l'autosufficienza del linguaggio per far spazio all'esperienza di verità. L'opera nella sua forma non è conclusa in se stessa bensì dialogante e viva, non esiste per mostrarsi ma per instaurare un rapporto con l'altro, perché in quanto forma sensibile possa diventare porta d'accesso alla dimensione spirituale. Interrompere il consueto, il senso comune, la logica dell'interesse, dell'apparire, il pregiudizio, l'indifferenza: questo è il compito della cultura e dell'arte, invitare ad un atteggiamento attivo, risvegliare la

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