martedì 18 febbraio 2014

La Bella Informazione Addormentata e i 7 Nani



Mi leggi una favola? La Bella Informazione Addormentata e i 7 Nani
ovvero Chi ci comanda sa bene come girare a suo favore il nostro naturale egoismo.

Chi ha giocato con i Lego da bambino (oppure ci gioca ancora adesso, e sarebbe un capitolo interessante da aprire, ma rimandiamo) conosce molto bene quella sensazione del preciso istante in cui, aperto il barilotto di plastica che contiene i mattoncini, lo si svuota a terra, sparpagliando tutti i pezzi, con buona pace dei condomini del piano di sotto, che a quest’ora dormiranno. Le energie della creazione sono sempre all’opera, e non si curano delle rimostranze altrui nella prossima assemblea condominiale.

Questo mio pezzo procederà più o meno allo stesso modo. Svuoto il barilotto del lego (dal latino: “delego, affido”), e vediamo che cosa si può fare con i mattoncini che ne vengono fuori. Ho una serie di elementi, di considerazioni al loro stato embrionale, vorrei con cautela provare ad accostare le une alle altre, scoprire se possono convivere e germogliare, se poste nello stesso habitat. Diversamente non saprei come affrontare la questione, che ha mille sfaccettature e non basta certo una testa sola per farci un giro intorno e prenderle adeguatamente le misure.

Si parla di informazione.
Non di testate giornalistiche oppure di telegiornali, bensì del concetto di informazione al suo stato più elementare: un pacchetto di dati, se vogliamo restare sulla metafora di cui prima: un mattoncino.

Lavorando come organizzatore per varie compagnie teatrali, ho avuto a che fare con il mattoncino-informazione: ho sperimentato varie tecniche per cercarlo, maneggiarlo, diffonderlo, scambiarlo. Nello specifico, vorrei scrivere non di quell’informazone diretta al pubblico (e delle sue millemila mirabolanti trovate per farsi notare) nè di quella interna alla compagnia stessa (e dei processi creativi dei creativi, di come gli artisti elaborino e si scambino informazioni). Mattoncini interessanti, altrettanto interessante l’informazione come risorsa: ad esempio quali bandi sono stati pubblicati, quali teatri cercano spettacoli, insomma un’informazione che definirei economica-politica, secondo un’etimologia antichissima che sembra aver molto poco a che fare con le contemporanee accezioni del termine.

Siparietto.
Un bel giorno, cercando in Rete, trovo notizia di un bando per l’assegnazione di fondi a compagnie teatrali che hanno nei loro programmi artistici temi legati alle questioni di genere. Bene: copio indirizzo, apro facebook, incollo indirizzo, e segnalo il link ai miei contatti, casomai ci fosse qualcuno interessato.
Un minuto dopo squilla il telefono.
E’ uno degli attori della compagnia teatrale per la quale lavoro. E’ arrabbiato.
“Ho visto che hai messo quel link.” mi dice “Non si fa!”
“E perchè?” gli chiedo.
“Perchè gli altri rubano l’idea.”
Non c’è esattamente un’idea da rubare, ma il concetto è chiaro: se diffondi quel link anche altri parteciperanno al bando, dunque ci sarà più concorrenza, e quindi meno probabilità di vincere.
Non fa una piega.
Nell’economia dell’informazione questo tipo di mattoncini hanno un valore reale, quasi monetario, sono una risorsa. Il turbocapitalismo si è esteso anche all’immateriale, nella sua ultima mutazione, avendone riconosciuto il valore economico.

Alcuni sostengono che capitalizzare (anche) l’informazione vada, alla lunga, comunque a vantaggio del progresso, del benessere, e di tutti. Altri, che questa è una bella illusione, e che sarebbe più conveniente invece: condividere.

In quell’occasione, all’obiezione che mi era stata mossa, non sapevo bene che cosa rispondere. Ingenuamente umanitaristico il mio atteggiamento? La storia sembrava dar ragione a loro, ai membri delle compagnie: tieniti ben stretto quello che sai, il tuo mattoncino-informazione, che altrimenti la concorrenza ne approfitterà. Pochissimi, nella mia carriera di organizzatore, hanno ricambiato il favore, condividendo informazioni come invece provavo a fare io.

Però, in fondo, dietro agli altrui rimproveri per quel mio comportamento troppo ingenuo, c’era una nota stonata. Qualcosa non mi tornava.

Che i pensieri che ho raccolto qui di seguito siano un elaborato sistema per dare una giustificazione ad un mio atteggiamento innazitutto mentale: è un sospetto più che legittimo. Sta di fatto che ora ho qualche argomento per controbattere.
E, colpo di scena, anticiperò la conclusione.

La competizione (concorrenza) sana (cioè che produce bellezza, occasioni di crescita, valori senza fare del male a nessuno, senza svilire nessuno nel suo ruolo) è quella che si svolge sul-palco, e non giù-dal-palco. Vale per il teatro, ma può essere metafora di molto altro. Sul-palco significa: nell’occasione in cui l’arte è messa di fronte ai suoi spettatori. Vale anche per un concerto, per una mostra d’arte. Giù-dal-palco rappresenta invece tutto quello che si svolge intorno all’evento in sè: la sua organizzazione, le risorse necessarie per metterlo in piedi, le competenze, le informazioni su come trovare spazi e canali per diffondere notizia al pubblico, e via dicendo. Sarebbe più vantaggioso per tutti che giù-dal-palco ci fosse libera circolazione delle informazioni, dei contatti e delle competenze. E che fosse invece, e solamente, ciò che accade sul-palco a stabilire chi sia il migliore, chi abbia prodotto qualità.

Ho anche la sensazione che giù-dal-palco sia molto facile giocare sporco, cioè competere in modo sleale (si possono, ad esempio, diffondere mattoncini-informazione errati, per danneggiare la concorrenza), mentre sul-palco, alla prova del pubblico, l’arte sia l’unica arma che si possa usare per dare ragione di sè.

I nani da giardino sono di pessimo gusto.
Perchè sopravvivono al tempo, e dietro al cancello di qualche villetta fanno capolino e ancora bella mostra di sè? Per rendere traghettabile verso il futuro la tradizione popolare  europea, che i fratelli Grimm nel 1812 avevano reso accessibile in una prima raccolta di storie, c’è voluta la Disney.

Primo nano: Gongolo ovvero siamo meno furbi di quello che crediamo.

Molta cautela nel diffondere, o meglio nel non diffondere proprio, informazioni a proposito di bandi, concorsi e via dicendo: è un segreto di Pulcinella. Tutti sanno, ma nessuno parla, nessuno diffonde l’informazione, perchè altrimenti “ti rubano l’idea”. Salvo poi ritrovarsi tutti, da concorrenti, a fare la coda per consegnare le schede necessarie per partecipare al suddetto segretissimo bando, a guardarsi e a dirsi: oh! anche tu qui!
Ma certo. Forse sarebbe stato meglio parlarsi del bando in questione, che ci si poteva dare una mano a compilarlo, invece che ciascuno per sè e dio per tutti.
Mi si obbietterà: è giusto che il bando lo vinca chi è capace di compilare la scheda di partecipazione, che è misura anch’essa della qualità e della preparazione della compagnia teatrale, una sorta di requisito minimo per poter pensare di fare le cose a certi livelli.
Falso.
L’obiezione di cui sopra sarebbe accettabile in un mondo ideale, ma oggi (e ciascuno di noi, a pensarci bene, può fare esempi precisi) sono molti quelli che avrebbero le necessarie qualità artistiche, ma non hanno avuto possibilità (per la crisi in primis, che toglie tempo spazio e risorse per la formazione) di applicarsi a migliorare le competenze burocratiche per compilare la suddetta scheda di partecipazione.

Secondo nano: Brontolo ovvero quanto ci conviene essere ostili?

La concorrenza giù-dal-palco, al contrario di quella sul-palco, non favorisce necessariamente la qualità. Al contrario, la mancanza di circolazione di informazione, di know-how, di competenze, che restano accentrate a lungo nelle mani degli stessi, fa ristagnare la produzione artistica; che per definizione vive di avvicendamenti e trasformazioni. Il mio pensiero va subito a tanti baroni, abbarbicati alle loro poltrone, ai gatekeepers che decidono che cosa deve oppure non deve vedere il pubblico; che a leggere quello che professavano da giovani sembra incredibile che ora siano diventati quello che sono.

Terzo nano: Dotto ovvero punto per punto (“dot to dot”)

Nel 2011 scrivevo il Manifesto per la Non-Proprietà Intellettuale. Lo diffondevo in Rete, e chiedevo ai miei amici di leggerlo e di proporre modifiche, che sarebbero state inserite di volta in volta. Dunque anche il metodo di stesura del manifesto stesso era collettivo e non individuale. Nonostante questo manifesto cerchi di dare un punto di vista alternativo rispetto all’origine delle idee, in un certo senso riguarda anche il discorso sull’economia dell’informazione. Ne riporto alcuni punti.

2a - l'uomo partorisce idee.
2b - le idee si trasformano in fatti che modificano la realtà non solo per chi le ha partorite, ma per tutto il consorzio umano.
 2c - non sappiamo esattamente come nascano le idee, ma sicuramente non sono il prodotto di un'attività solipsistica; piuttosto nascono dal ricombinarsi della realtà e dall'apporto di altri punti di vista.

3 – Il manifesto per la non-proprietà intellettuale afferma:

3a - La non-proprietà individuale delle idee. Le idee non appartengono solo a chi le ha partorite.

3b - Se una tale posizione estrema può sembrare irragionevole e contro natura, l'attuale sistema per cui le idee vanno a favore di pochi e non della collettività non è certo migliore.

3c - Una parte dei mali di oggi deriva dalla speculazione di pochi su idee che potrebbero non solo giovare a molti, ma (e soprattutto) essere sviluppate e crescere e diffondersi più rapidamente ed efficacemente se condivise e lavorate da più menti, anche e soprattutto grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, in primis la Rete, se usata per fini di sperimentazione di nuove aree di scambio e condivisione lontane dalle logiche commerciali e consumistiche.

4a - E' illusorio pensare che le idee siano nostre, quando in realtà provengono da stimoli, dialoghi, cose fuori di noi che non ci appartengono, ma che in noi si ricombinano. Crediamo che le idee siano mezzi a nostra disposizione, in realtà siamo noi ad essere i mezzi che le idee hanno per nascere, ricombinarsi, diffodersi. Siamo noi ad essere cavalcati dalle idee, e non viceversa. Inoltre, le idee ci sopravvivono.

4b - Questa "illusione di possesso" delle idee ci deriva da aspetti psicologici innati, oltre che da fattori culturali: il senso di proprietà e competizione che in parte fin da piccoli ci viene trasfuso, in parte è proprio della natura animale di cui siamo fatti.

4c - L'egoismo del voler tenere un'idea per sè e sfruttarla solo per vantaggio personale è contro il benessere collettivo. La teoria secondo la quale la competizione, la speculazione e l'egoismo personale vadano, per effetto di composizione secondario, a benessere di tutti, si è rivelata in questi ultimi anni in tutte le sue contraddizioni, e ci sta facendo pagare un prezzo molto alto in termini di qualità della vita e felicità personale. Inoltre, è nella normale natura delle cose diffondersi e rimbalzare di mente in mente, come è un fatto assolutamente naturale per un'idea contagiare altre menti, diffondersi, duplicarsi, modificarsi.

4d - Tutti noi siamo utilizzatori di idee degli altri, e ne traiamo giovamento, anzi spesso rubiamo le idee degli altri: ma di questo non ci facciamo nessuno scrupolo, anzi nemmeno ce ne accorgiamo.

4e - Le idee crescono, si sviluppano e si realizzano nel confronto con la realtà e con gli altri, che ce le restituiscono accresciute o modificate. Senza nulla voler togliere al genio personale, se non ci fosse la realtà esterna tale genio non avrebbe modo di trarre la materia prima per ricombinare idee e nemmeno il campo dove poterle riseminare.
5b - Se le idee fossero libere di circolare e non piegate a ragioni economiche, di sfruttamento e speculazione, avrebbero maggiori possibilità di migliorarsi, svilupparsi, e di portare bene alla collettività.

5c - Le idee lasciate libere di circolare potrebbero, per selezione naturale tra di loro, portare più frutti. Al contrario, le idee contro il vantaggio collettivo semplicemente non verrebbero scelte dalla collettività.

5d - Che vantaggio ne trarrebbe il singolo dall'aver "partorito" un'idea? Si consideri che è egli stesso parte della collettività, nè più nè meno degli altri. Al contrario, la consapevolezza di aver migliorato la qualità della vita della collettività (di cui fa parte) e dunque anche la propria, dovrebbe essere il nuovo metro di valutazione dell'importanza delle proprie azioni.

5e - Il genere umano potrebbe fare un salto evolutivo notevole, se svincolasse le idee dallo sfruttamento per lasciarle libere di ricombinarsi e migliorarsi e crescere.

5f - Il momento in cui le idee sono state incatenate e hanno rallentato sia la loro evoluzione che il loro potere pervadente nella società è stato quello in cui si è legato il concepire idee con il diritto a sfruttarle solo per proprio vantaggio, e non per quello della collettività. E' stato il momento in cui si è egoisticamente smesso di condividerle, di provare rispetto per l'altro come parte della comunità, trasformandolo in possibile fonte di guadagno.

5g - Si può sradicare il senso di possesso delle idee pensando che chiunque di noi poteva nascere dalla parte sbagliata del mondo, ed essere uno sfruttato invece che uno sfruttatore. Inoltre, molto pericoloso è lo sfruttamento di cui si è vittime inconsapevoli, e questo è diffuso in ogni parte del mondo, anche quello chiamato "evoluto". Bisogna riconsiderare il vero significato della parola "evoluzione".

5h - L'obiezione dell'ingiustizia: "Non è giusto che un altro che non si è impegnato per sviluppare un'idea ne goda come uno che invece si è impegnato a favore di essa". A questo problema, che si può definire quello dell' "utilizzatore inerte" si può rispondere con alcune tesi:

5h1 - La maggior parte di noi è abituata a comprare le idee degli altri: usiamo un i-pod, ma non ci siamo impegnati per creare un i-pod. Abbiamo forse impiegato diversamente il nostro tempo, in altre attività.

5h2 - Ciascuno di noi decide come impegnare il proprio tempo; ma con la consapevolezza che esso è limitato, dovremmo spingerci a portare avanti idee utili per noi e per gli altri piuttosto che a vantaggio di pochi, e distrattive rispetto a problemi della comunità, di cui facciamo peraltro parte.

5h3 - Essendo il consorzio umano variegato per bisogni e tipologie, ciascuno può contribuire con idee libere in diversi ambiti, in base alle proprie qualità e doti personali. Anzi, è proprio grazie a questa differenziazione che molto spesso le idee riescono a trovare i punti di vista diversi necessari per potersi evolvere.
 6a - Condivisione è la parola chiave, in grado di far crollare il sistema che si basa su sfruttamento, conoscenza unilaterale delle informazioni, speculazione a vantaggio di pochi.

6b - Serve coraggio per abdicare alla proprietà intellettuale delle proprie idee, ma una visione ampia, eterogenea e completa della realtà circostante non può che indurre a pensare che questo sia il momento chiave per dare una svolta all'approccio dello sfruttamento individuale delle idee a favore della condivisione delle idee per tutto il consorzio umano.


Se nel testo qui sopra sostituiamo la parola idea con la parola informazione il senso non cambia. Si tratta sempre di quei mattoncini necessari alla costruzione di qualcosa.

Quarto nano: Eolo ovvero liberi come l’aria.

Se non conoscete ancora Aaron Swartz, è il momento giusto per guardare questo video.


Questo è il suo manifesto.

L’informazione è potere. Ma come con ogni tipo di potere, ci sono quelli che se ne vogliono impadronire. L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una manciata di società private. Vuoi leggere le riviste che ospitano i più famosi risultati scientifici? Dovrai pagare enormi somme ad editori come Reed Elsevier.

C’è chi lotta per cambiare tutto questo. Il movimento Open Access ha combattuto valorosamente perché gli scienziati non cedano i loro diritti d’autore e che invece il loro lavoro sia pubblicato su Internet, a condizioni che consentano l’accesso a tutti. Ma anche nella migliore delle ipotesi, il loro lavoro varrà solo per le cose pubblicate in futuro. Tutto ciò che è stato pubblicato fino ad oggi sarà perduto.

Questo è un prezzo troppo alto da pagare. Forzare i ricercatori a pagare per leggere il lavoro dei loro colleghi? Scansionare intere biblioteche, ma consentire solo alla gente che lavora per Google di leggerne i libri? Fornire articoli scientifici alle università d’élite del Primo Mondo, ma non ai bambini del Sud del Mondo? Tutto ciò è oltraggioso ed inaccettabile.

“Sono d’accordo,” dicono in molti, “ma cosa possiamo fare? Le società detengono i diritti d’autore, guadagnano enormi somme di denaro facendo pagare l’accesso, ed è tutto perfettamente legale - non c’è niente che possiamo fare per fermarli”. Ma qualcosa che possiamo fare c’è, qualcosa che è già stato fatto: possiamo contrattaccare.

Tutti voi, che avete accesso a queste risorse, studenti, bibliotecari o scienziati, avete ricevuto un privilegio: potete nutrirvi al banchetto della conoscenza mentre il resto del mondo rimane chiuso fuori. Ma non dovete - anzi, moralmente, non potete - conservare questo privilegio solo per voi, avete il dovere di condividerlo con il mondo. Avete il dovere di scambiare le password con i colleghi e scaricare gli articoli per gli amici.

Tutti voi che siete stati chiusi fuori non starete a guardare, nel frattempo. Vi intrufulerete attraverso i buchi, scavalcherete le recinzioni, e libererete le informazioni che gli editori hanno chiuso e le condividerete con i vostri amici.

Ma tutte queste azioni sono condotte nella clandestinità oscura e nascosta. Sono chiamate “furto” o “pirateria”, come se condividere conoscenza fosse l’equivalente morale di saccheggiare una nave ed assassinarne l’equipaggio, ma condividere non è immorale - è un imperativo morale. Solo chi fosse accecato dall’avidità rifiuterebbe di concedere una copia ad un amico.

E le grandi multinazionali, ovviamente, sono accecate dall’avidità. Le stesse leggi a cui sono sottoposte richiedono che siano accecate dall’avidità - se così non fosse i loro azionisti si rivolterebbero. E i politici, corrotti dalle grandi aziende, le supportano approvando leggi che danno loro il potere esclusivo di decidere chi può fare copie.

Non c’è giustizia nel rispettare leggi ingiuste. È tempo di uscire allo scoperto e, nella grande tradizione della disobbedienza civile, dichiarare la nostra opposizione a questo furto privato della cultura pubblica.

Dobbiamo acquisire le informazioni, ovunque siano archiviate, farne copie e condividerle con il mondo. Dobbiamo prendere ciò che è fuori dal diritto d’autore e caricarlo su Internet Archive. Dobbiamo acquistare banche dati segrete e metterle sul web. Dobbiamo scaricare riviste scientifiche e caricarle sulle reti di condivisione. Dobbiamo lottare per la Guerrilla Open Access.

Se in tutto il mondo saremo in numero sufficiente, non solo manderemo un forte messaggio contro la privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo un ricordo del passato.

Vuoi essere dei nostri?
Luglio 2008, Eremo, Italia


Non è in fondo così chiaro? Il concetto di proprietà intellettuale è stato distorto a favore della ricchezza di pochi sui molti. Non sarebbe meglio che i mattoncini di informazione necessari per migliorare la qualità dell’esistenza siano a disposizione di tutti?

Quinto nano: Mammolo ovvero siamo ancora attaccati alle sottane di madre natura.

Andiamo a toccare un altro nervo scoperto del problema.
Il naturale egoismo umano.
Cito la Rita Levi-Montalcini.

“Quello che in molti ignorano è che il nostro cervello è fatto di due cervelli. Un cervello arcaico, limbico, localizzato nell'ippocampo, che non si è praticamente evoluto da tre milioni di anni fa ad oggi, e non differisce molto tra l'homo sapiens e i mammiferi inferiori. Un cervello piccolo, ma che possiede una forza straordinaria. Controlla tutte quelle che sono le emozioni. Ha salvato l'australopiteco quando è sceso dagli alberi, permettendogli di fare fronte alla ferocia dell'ambiente e degli aggressori. L'altro cervello è quello cognitivo, molto più giovane. E' nato con il linguaggio e in 150mila anni ha vissuto uno sviluppo straordinario, specialmente grazie alla cultura. Si trova nella neo-corteccia. Purtroppo buona parte del nostro comportamento è ancora guidata del cervello arcaico. Tutte le grandi tragedie - la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo - sono dovute alla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. E il cervello arcaico è così abile da indurci a pensare che tutto questo sia controllato dal nostro pensiero, quando non è così. I giovani di oggi si illudono di essere pensanti. Il linguaggio e la comunicazione danno loro l'illusione di stare ragionando. Ma il cervello arcaico, maligno, è anche molto astuto e maschera la propria azione dietro il linguaggio, mimando quella del cervello cognitivo. Bisognerebbe spiegarglielo.”

Sesto nano: Pisolo ovvero la propria distrazione fa l’altrui ladro.

In definitiva, tra un sistema di security through obscurity ed uno full disclosure, paradossalmente sembra essere più sicuro il secondo. Se non c’è niente da scoprire, ma è il saper fare che permette di portare a termine il processo, allora sarà molto difficile per chi non ha le competenze venirne a capo. Diversamente, una cassaforte che può essere aperta da chiunque, una volta scoperto il meccanismo, non è molto sicura, visto che su questo pianeta siamo ormai in tanti e prima o poi qualcuno lo troverà, il modo di scassinare la nostra informazione-mattoncino.

Inoltre, non è detto che l’informazione che ho in mio possesso sia adeguata ai miei bisogni. Magari sarebbe oggettivamente più produttiva, efficace, nelle mani della concorrenza... che a sua volta potrebbe avere, senza saperlo, informazioni a me utili. Non tutti vediamo un certo mattoncino-informazione allo stesso modo. Non è detto che lo stesso mattoncino-informazione si incastri bene nel mio progetto come in quello altrui.

L’unica forma di crittografia davvero efficace per proteggere un’informazione sembrerebbe essere quella quantistica, che si basa (semplifico al massimo) sul concetto che, nel caso in cui qualcuno intercetti l’informazione prima del legittimo destinatario, l’informazione si corrompa e non sia più utilizzabile (oltre che avvisare il destinatario del fatto che lungo il tragitto dell’informazione, dal mittente al destinatario, è successo qualcosa). Se la natura umana sembra essere egoista per quanto riguarda l’informazione, l’universo invece non lo è affatto, anzi la elargisce a piene mani, ne fa uno dei suoi punti di forza per evolversi. Una forma biologica che non condivide la sua informazione con le generazioni successive  è destinata ad estinguersi.

Ora che ci penso: i sette nani della favola lavorano in una miniera. Estraggono diamanti. Tutte le mattine salutano la Bella Informazione Addormentata e, cantando in coro quella canzone che tutti conosciamo, prendono a picconate la roccia per cavarne fuori gemme preziose. Che cosa ne facciano non si sa.



Settimo nano: Guerrafondaiolo ovvero guerra e informazione vanno a braccetto.

Concludo con un esempio immediatamente percepibile nella sua drammaticità. Nello specifico, parlo di guerre che si decidono sulla base di mattoncini-informazioni. Slavoj Zizek, nel suo libro “Event – Philosophy in Transit” (Penguin 2014) cita Donald Rumsfeld, allora US Secretary of Defence, che nel febbraio del 2002, a proposito dell’intervento USA in Iraq per porre fine al proliferare di armi chimiche, affermò: “Ci sono cose che sappiamo di sapere; ci sono cose che sappiamo di non sapere; e ci sono cose che non sappiamo di non sapere.” Per questo, conviene un intervento, anche se fosse: preventivo. Zizek aggiunge: manca un caso, e cioè: “ci sono cose che non sappiamo di sapere”. Esattamente un anno dopo: siamo nella sala conferenze delle Nazioni Unite a  New York. Colin Powell annuncia ufficialmente l’intervento degli USA in Iraq. Alle sue spalle c’è un bel tendaggio blu. E’ solo uno sfondo? Pochi sanno che dietro a quel drappeggio, appeso lì per l’occasione, c’è una riproduzione a dimensioni naturali della Guernica di Picasso. Pareva brutto dichiarare imminenti bombardamenti, con quell’icona dell’arte alle spalle, e con tutto ciò che simboleggia. Ma la Bella Informazione è sempre Addormentata, e rari sono i principi azzurri che provano a risvegliarla con un bacio.


Si ringrazia Pino Conson per un imput creativo determinante alla stesura di questo articolo.

Nessun commento:

Posta un commento