domenica 23 febbraio 2014

15 minuti di cartoline







Progetto MAIL ART MCA

Camo & Friends #1



In this year of activity we have tried to give an answer to the question whether art and culture could become a vehicle for stable relationships , opportunities to meet real and human growth.



At this year's Art activity (more than 70 works on permanent display) Culture ( lectures and conferences) Music (dj - concerts) Side Events (# McaOff, the Time Capsule) Cuisine (walking * cooking day) have accompanied us on this wonderful adventure!

After a year of satisfaction we can answer the initial question with a positive YES!



At this point we thought about what could be the best way to celebrate this important result. We wondered what could be the best way to communicate with artists around the world and also what was the criterion more honest to make a work of art really unique and free .

A recent and exciting meeting we suggested the MAIL ART ! The postcard ! One of the oldest art movements in history. Art shared without juries or commercial aspects , where the message is sent at the same time the means by which it is delivered! The project "Mail Art M.C.A. CAMO & FRIENDS #1" has this starting point! With this project we want to " pay homage " everything that we have today in our hands and that we want to cultivate with care!



P-Ars 2014

www.p-ars.com

15 minuti di cartoline





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sabato 22 febbraio 2014

Scarafaggi | Compagnia ZeropalcO @ K-Hole Teater starts February 27, 2014 at 09:30PM

K-HOLE TEATER. TUTTI I GIOVEDI’ dal 21 Gennaio una nuova rassegna dedicata alle PERFORMING ARTS e al TEATRO INDIPENDENTE. In collaborazione con P-Ars Andrea Roccioletti Studio Ingresso gratuito per i soci MSP (costo tessera 4 euro) Uscita...a cappello! K-HOLE Art Social Club | via S.Agostino 17 | Quadrilatero Torino http://ift.tt/1dhfUZG GIOVEDI' 27 FEBBRAIO ORE 21.30 SCARAFAGGI Compagnia ZeropalcO Scritto da: Marco Bileddo Regia di: Nancy Citro e Margherita Demichelis Attori: Giulia Berto Valentina Cesano Nancy Citro Luca Torri Federico Zittino Video realizzato da Tommaso Schiuma “La libertà è potere pensare liberamente alla libertà.” “Scarafaggi” è un’idea nata da una sceneggiatura scritta dal regista e attore palermitano Marco Bileddo, che con la Compagnia Stiamo Stretti porta in scena per la prima volta la sua opera all’interno del Festival Teatriamo, organizzanto dalla Provincia di Matera, vincendo in quell’occasione il premio per la miglior regia. Oggi riportiamo in scena, con una regia diversa, la stessa opera modificata parzialmente nel testo ma che non risulta snaturato né nell’intenzione né tantomeno nella forza del messaggio. Ma chi sono gli scarafaggi? Gli scarafaggi sono tutte quelle persone che vengono calpestate nei propri diritti. Gli scarafaggi sono coloro che subiscono gli altri e le loro decisioni, o per arrendevolezza o per condizione sociale. Gli scarafaggi sono quelli che vendono la propria autenticità al miglior offerente ma soprattutto gli scarafaggi sono coloro a cui viene negata la libertà. La libertà di essere, di pensare, di opporsi, di parlare, di urlare. Ed infatti quello che si vuole fare con “Scarafaggi” è proprio urlare contro lo sguardo superficiale e sfuocato che accomuna, sempre di più, gli occhi di una società che ha cancellato gli orizzonti. Scarafaggi è un urlo contro la massa che non riesce più ad essere critica, quella massa miope che non sembra guardare al futuro ma che pensa solo all’oggi, distruggendo il proprio domani e quello degli altri.

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martedì 18 febbraio 2014

La Bella Informazione Addormentata e i 7 Nani



Mi leggi una favola? La Bella Informazione Addormentata e i 7 Nani
ovvero Chi ci comanda sa bene come girare a suo favore il nostro naturale egoismo.

Chi ha giocato con i Lego da bambino (oppure ci gioca ancora adesso, e sarebbe un capitolo interessante da aprire, ma rimandiamo) conosce molto bene quella sensazione del preciso istante in cui, aperto il barilotto di plastica che contiene i mattoncini, lo si svuota a terra, sparpagliando tutti i pezzi, con buona pace dei condomini del piano di sotto, che a quest’ora dormiranno. Le energie della creazione sono sempre all’opera, e non si curano delle rimostranze altrui nella prossima assemblea condominiale.

Questo mio pezzo procederà più o meno allo stesso modo. Svuoto il barilotto del lego (dal latino: “delego, affido”), e vediamo che cosa si può fare con i mattoncini che ne vengono fuori. Ho una serie di elementi, di considerazioni al loro stato embrionale, vorrei con cautela provare ad accostare le une alle altre, scoprire se possono convivere e germogliare, se poste nello stesso habitat. Diversamente non saprei come affrontare la questione, che ha mille sfaccettature e non basta certo una testa sola per farci un giro intorno e prenderle adeguatamente le misure.

Si parla di informazione.
Non di testate giornalistiche oppure di telegiornali, bensì del concetto di informazione al suo stato più elementare: un pacchetto di dati, se vogliamo restare sulla metafora di cui prima: un mattoncino.

Lavorando come organizzatore per varie compagnie teatrali, ho avuto a che fare con il mattoncino-informazione: ho sperimentato varie tecniche per cercarlo, maneggiarlo, diffonderlo, scambiarlo. Nello specifico, vorrei scrivere non di quell’informazone diretta al pubblico (e delle sue millemila mirabolanti trovate per farsi notare) nè di quella interna alla compagnia stessa (e dei processi creativi dei creativi, di come gli artisti elaborino e si scambino informazioni). Mattoncini interessanti, altrettanto interessante l’informazione come risorsa: ad esempio quali bandi sono stati pubblicati, quali teatri cercano spettacoli, insomma un’informazione che definirei economica-politica, secondo un’etimologia antichissima che sembra aver molto poco a che fare con le contemporanee accezioni del termine.

Siparietto.
Un bel giorno, cercando in Rete, trovo notizia di un bando per l’assegnazione di fondi a compagnie teatrali che hanno nei loro programmi artistici temi legati alle questioni di genere. Bene: copio indirizzo, apro facebook, incollo indirizzo, e segnalo il link ai miei contatti, casomai ci fosse qualcuno interessato.
Un minuto dopo squilla il telefono.
E’ uno degli attori della compagnia teatrale per la quale lavoro. E’ arrabbiato.
“Ho visto che hai messo quel link.” mi dice “Non si fa!”
“E perchè?” gli chiedo.
“Perchè gli altri rubano l’idea.”
Non c’è esattamente un’idea da rubare, ma il concetto è chiaro: se diffondi quel link anche altri parteciperanno al bando, dunque ci sarà più concorrenza, e quindi meno probabilità di vincere.
Non fa una piega.
Nell’economia dell’informazione questo tipo di mattoncini hanno un valore reale, quasi monetario, sono una risorsa. Il turbocapitalismo si è esteso anche all’immateriale, nella sua ultima mutazione, avendone riconosciuto il valore economico.

Alcuni sostengono che capitalizzare (anche) l’informazione vada, alla lunga, comunque a vantaggio del progresso, del benessere, e di tutti. Altri, che questa è una bella illusione, e che sarebbe più conveniente invece: condividere.

In quell’occasione, all’obiezione che mi era stata mossa, non sapevo bene che cosa rispondere. Ingenuamente umanitaristico il mio atteggiamento? La storia sembrava dar ragione a loro, ai membri delle compagnie: tieniti ben stretto quello che sai, il tuo mattoncino-informazione, che altrimenti la concorrenza ne approfitterà. Pochissimi, nella mia carriera di organizzatore, hanno ricambiato il favore, condividendo informazioni come invece provavo a fare io.

Però, in fondo, dietro agli altrui rimproveri per quel mio comportamento troppo ingenuo, c’era una nota stonata. Qualcosa non mi tornava.

Che i pensieri che ho raccolto qui di seguito siano un elaborato sistema per dare una giustificazione ad un mio atteggiamento innazitutto mentale: è un sospetto più che legittimo. Sta di fatto che ora ho qualche argomento per controbattere.
E, colpo di scena, anticiperò la conclusione.

La competizione (concorrenza) sana (cioè che produce bellezza, occasioni di crescita, valori senza fare del male a nessuno, senza svilire nessuno nel suo ruolo) è quella che si svolge sul-palco, e non giù-dal-palco. Vale per il teatro, ma può essere metafora di molto altro. Sul-palco significa: nell’occasione in cui l’arte è messa di fronte ai suoi spettatori. Vale anche per un concerto, per una mostra d’arte. Giù-dal-palco rappresenta invece tutto quello che si svolge intorno all’evento in sè: la sua organizzazione, le risorse necessarie per metterlo in piedi, le competenze, le informazioni su come trovare spazi e canali per diffondere notizia al pubblico, e via dicendo. Sarebbe più vantaggioso per tutti che giù-dal-palco ci fosse libera circolazione delle informazioni, dei contatti e delle competenze. E che fosse invece, e solamente, ciò che accade sul-palco a stabilire chi sia il migliore, chi abbia prodotto qualità.

Ho anche la sensazione che giù-dal-palco sia molto facile giocare sporco, cioè competere in modo sleale (si possono, ad esempio, diffondere mattoncini-informazione errati, per danneggiare la concorrenza), mentre sul-palco, alla prova del pubblico, l’arte sia l’unica arma che si possa usare per dare ragione di sè.

I nani da giardino sono di pessimo gusto.
Perchè sopravvivono al tempo, e dietro al cancello di qualche villetta fanno capolino e ancora bella mostra di sè? Per rendere traghettabile verso il futuro la tradizione popolare  europea, che i fratelli Grimm nel 1812 avevano reso accessibile in una prima raccolta di storie, c’è voluta la Disney.

Primo nano: Gongolo ovvero siamo meno furbi di quello che crediamo.

Molta cautela nel diffondere, o meglio nel non diffondere proprio, informazioni a proposito di bandi, concorsi e via dicendo: è un segreto di Pulcinella. Tutti sanno, ma nessuno parla, nessuno diffonde l’informazione, perchè altrimenti “ti rubano l’idea”. Salvo poi ritrovarsi tutti, da concorrenti, a fare la coda per consegnare le schede necessarie per partecipare al suddetto segretissimo bando, a guardarsi e a dirsi: oh! anche tu qui!
Ma certo. Forse sarebbe stato meglio parlarsi del bando in questione, che ci si poteva dare una mano a compilarlo, invece che ciascuno per sè e dio per tutti.
Mi si obbietterà: è giusto che il bando lo vinca chi è capace di compilare la scheda di partecipazione, che è misura anch’essa della qualità e della preparazione della compagnia teatrale, una sorta di requisito minimo per poter pensare di fare le cose a certi livelli.
Falso.
L’obiezione di cui sopra sarebbe accettabile in un mondo ideale, ma oggi (e ciascuno di noi, a pensarci bene, può fare esempi precisi) sono molti quelli che avrebbero le necessarie qualità artistiche, ma non hanno avuto possibilità (per la crisi in primis, che toglie tempo spazio e risorse per la formazione) di applicarsi a migliorare le competenze burocratiche per compilare la suddetta scheda di partecipazione.

Secondo nano: Brontolo ovvero quanto ci conviene essere ostili?

La concorrenza giù-dal-palco, al contrario di quella sul-palco, non favorisce necessariamente la qualità. Al contrario, la mancanza di circolazione di informazione, di know-how, di competenze, che restano accentrate a lungo nelle mani degli stessi, fa ristagnare la produzione artistica; che per definizione vive di avvicendamenti e trasformazioni. Il mio pensiero va subito a tanti baroni, abbarbicati alle loro poltrone, ai gatekeepers che decidono che cosa deve oppure non deve vedere il pubblico; che a leggere quello che professavano da giovani sembra incredibile che ora siano diventati quello che sono.

Terzo nano: Dotto ovvero punto per punto (“dot to dot”)

Nel 2011 scrivevo il Manifesto per la Non-Proprietà Intellettuale. Lo diffondevo in Rete, e chiedevo ai miei amici di leggerlo e di proporre modifiche, che sarebbero state inserite di volta in volta. Dunque anche il metodo di stesura del manifesto stesso era collettivo e non individuale. Nonostante questo manifesto cerchi di dare un punto di vista alternativo rispetto all’origine delle idee, in un certo senso riguarda anche il discorso sull’economia dell’informazione. Ne riporto alcuni punti.

2a - l'uomo partorisce idee.
2b - le idee si trasformano in fatti che modificano la realtà non solo per chi le ha partorite, ma per tutto il consorzio umano.
 2c - non sappiamo esattamente come nascano le idee, ma sicuramente non sono il prodotto di un'attività solipsistica; piuttosto nascono dal ricombinarsi della realtà e dall'apporto di altri punti di vista.

3 – Il manifesto per la non-proprietà intellettuale afferma:

3a - La non-proprietà individuale delle idee. Le idee non appartengono solo a chi le ha partorite.

3b - Se una tale posizione estrema può sembrare irragionevole e contro natura, l'attuale sistema per cui le idee vanno a favore di pochi e non della collettività non è certo migliore.

3c - Una parte dei mali di oggi deriva dalla speculazione di pochi su idee che potrebbero non solo giovare a molti, ma (e soprattutto) essere sviluppate e crescere e diffondersi più rapidamente ed efficacemente se condivise e lavorate da più menti, anche e soprattutto grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, in primis la Rete, se usata per fini di sperimentazione di nuove aree di scambio e condivisione lontane dalle logiche commerciali e consumistiche.

4a - E' illusorio pensare che le idee siano nostre, quando in realtà provengono da stimoli, dialoghi, cose fuori di noi che non ci appartengono, ma che in noi si ricombinano. Crediamo che le idee siano mezzi a nostra disposizione, in realtà siamo noi ad essere i mezzi che le idee hanno per nascere, ricombinarsi, diffodersi. Siamo noi ad essere cavalcati dalle idee, e non viceversa. Inoltre, le idee ci sopravvivono.

4b - Questa "illusione di possesso" delle idee ci deriva da aspetti psicologici innati, oltre che da fattori culturali: il senso di proprietà e competizione che in parte fin da piccoli ci viene trasfuso, in parte è proprio della natura animale di cui siamo fatti.

4c - L'egoismo del voler tenere un'idea per sè e sfruttarla solo per vantaggio personale è contro il benessere collettivo. La teoria secondo la quale la competizione, la speculazione e l'egoismo personale vadano, per effetto di composizione secondario, a benessere di tutti, si è rivelata in questi ultimi anni in tutte le sue contraddizioni, e ci sta facendo pagare un prezzo molto alto in termini di qualità della vita e felicità personale. Inoltre, è nella normale natura delle cose diffondersi e rimbalzare di mente in mente, come è un fatto assolutamente naturale per un'idea contagiare altre menti, diffondersi, duplicarsi, modificarsi.

4d - Tutti noi siamo utilizzatori di idee degli altri, e ne traiamo giovamento, anzi spesso rubiamo le idee degli altri: ma di questo non ci facciamo nessuno scrupolo, anzi nemmeno ce ne accorgiamo.

4e - Le idee crescono, si sviluppano e si realizzano nel confronto con la realtà e con gli altri, che ce le restituiscono accresciute o modificate. Senza nulla voler togliere al genio personale, se non ci fosse la realtà esterna tale genio non avrebbe modo di trarre la materia prima per ricombinare idee e nemmeno il campo dove poterle riseminare.
5b - Se le idee fossero libere di circolare e non piegate a ragioni economiche, di sfruttamento e speculazione, avrebbero maggiori possibilità di migliorarsi, svilupparsi, e di portare bene alla collettività.

5c - Le idee lasciate libere di circolare potrebbero, per selezione naturale tra di loro, portare più frutti. Al contrario, le idee contro il vantaggio collettivo semplicemente non verrebbero scelte dalla collettività.

5d - Che vantaggio ne trarrebbe il singolo dall'aver "partorito" un'idea? Si consideri che è egli stesso parte della collettività, nè più nè meno degli altri. Al contrario, la consapevolezza di aver migliorato la qualità della vita della collettività (di cui fa parte) e dunque anche la propria, dovrebbe essere il nuovo metro di valutazione dell'importanza delle proprie azioni.

5e - Il genere umano potrebbe fare un salto evolutivo notevole, se svincolasse le idee dallo sfruttamento per lasciarle libere di ricombinarsi e migliorarsi e crescere.

5f - Il momento in cui le idee sono state incatenate e hanno rallentato sia la loro evoluzione che il loro potere pervadente nella società è stato quello in cui si è legato il concepire idee con il diritto a sfruttarle solo per proprio vantaggio, e non per quello della collettività. E' stato il momento in cui si è egoisticamente smesso di condividerle, di provare rispetto per l'altro come parte della comunità, trasformandolo in possibile fonte di guadagno.

5g - Si può sradicare il senso di possesso delle idee pensando che chiunque di noi poteva nascere dalla parte sbagliata del mondo, ed essere uno sfruttato invece che uno sfruttatore. Inoltre, molto pericoloso è lo sfruttamento di cui si è vittime inconsapevoli, e questo è diffuso in ogni parte del mondo, anche quello chiamato "evoluto". Bisogna riconsiderare il vero significato della parola "evoluzione".

5h - L'obiezione dell'ingiustizia: "Non è giusto che un altro che non si è impegnato per sviluppare un'idea ne goda come uno che invece si è impegnato a favore di essa". A questo problema, che si può definire quello dell' "utilizzatore inerte" si può rispondere con alcune tesi:

5h1 - La maggior parte di noi è abituata a comprare le idee degli altri: usiamo un i-pod, ma non ci siamo impegnati per creare un i-pod. Abbiamo forse impiegato diversamente il nostro tempo, in altre attività.

5h2 - Ciascuno di noi decide come impegnare il proprio tempo; ma con la consapevolezza che esso è limitato, dovremmo spingerci a portare avanti idee utili per noi e per gli altri piuttosto che a vantaggio di pochi, e distrattive rispetto a problemi della comunità, di cui facciamo peraltro parte.

5h3 - Essendo il consorzio umano variegato per bisogni e tipologie, ciascuno può contribuire con idee libere in diversi ambiti, in base alle proprie qualità e doti personali. Anzi, è proprio grazie a questa differenziazione che molto spesso le idee riescono a trovare i punti di vista diversi necessari per potersi evolvere.
 6a - Condivisione è la parola chiave, in grado di far crollare il sistema che si basa su sfruttamento, conoscenza unilaterale delle informazioni, speculazione a vantaggio di pochi.

6b - Serve coraggio per abdicare alla proprietà intellettuale delle proprie idee, ma una visione ampia, eterogenea e completa della realtà circostante non può che indurre a pensare che questo sia il momento chiave per dare una svolta all'approccio dello sfruttamento individuale delle idee a favore della condivisione delle idee per tutto il consorzio umano.


Se nel testo qui sopra sostituiamo la parola idea con la parola informazione il senso non cambia. Si tratta sempre di quei mattoncini necessari alla costruzione di qualcosa.

Quarto nano: Eolo ovvero liberi come l’aria.

Se non conoscete ancora Aaron Swartz, è il momento giusto per guardare questo video.


Questo è il suo manifesto.

L’informazione è potere. Ma come con ogni tipo di potere, ci sono quelli che se ne vogliono impadronire. L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una manciata di società private. Vuoi leggere le riviste che ospitano i più famosi risultati scientifici? Dovrai pagare enormi somme ad editori come Reed Elsevier.

C’è chi lotta per cambiare tutto questo. Il movimento Open Access ha combattuto valorosamente perché gli scienziati non cedano i loro diritti d’autore e che invece il loro lavoro sia pubblicato su Internet, a condizioni che consentano l’accesso a tutti. Ma anche nella migliore delle ipotesi, il loro lavoro varrà solo per le cose pubblicate in futuro. Tutto ciò che è stato pubblicato fino ad oggi sarà perduto.

Questo è un prezzo troppo alto da pagare. Forzare i ricercatori a pagare per leggere il lavoro dei loro colleghi? Scansionare intere biblioteche, ma consentire solo alla gente che lavora per Google di leggerne i libri? Fornire articoli scientifici alle università d’élite del Primo Mondo, ma non ai bambini del Sud del Mondo? Tutto ciò è oltraggioso ed inaccettabile.

“Sono d’accordo,” dicono in molti, “ma cosa possiamo fare? Le società detengono i diritti d’autore, guadagnano enormi somme di denaro facendo pagare l’accesso, ed è tutto perfettamente legale - non c’è niente che possiamo fare per fermarli”. Ma qualcosa che possiamo fare c’è, qualcosa che è già stato fatto: possiamo contrattaccare.

Tutti voi, che avete accesso a queste risorse, studenti, bibliotecari o scienziati, avete ricevuto un privilegio: potete nutrirvi al banchetto della conoscenza mentre il resto del mondo rimane chiuso fuori. Ma non dovete - anzi, moralmente, non potete - conservare questo privilegio solo per voi, avete il dovere di condividerlo con il mondo. Avete il dovere di scambiare le password con i colleghi e scaricare gli articoli per gli amici.

Tutti voi che siete stati chiusi fuori non starete a guardare, nel frattempo. Vi intrufulerete attraverso i buchi, scavalcherete le recinzioni, e libererete le informazioni che gli editori hanno chiuso e le condividerete con i vostri amici.

Ma tutte queste azioni sono condotte nella clandestinità oscura e nascosta. Sono chiamate “furto” o “pirateria”, come se condividere conoscenza fosse l’equivalente morale di saccheggiare una nave ed assassinarne l’equipaggio, ma condividere non è immorale - è un imperativo morale. Solo chi fosse accecato dall’avidità rifiuterebbe di concedere una copia ad un amico.

E le grandi multinazionali, ovviamente, sono accecate dall’avidità. Le stesse leggi a cui sono sottoposte richiedono che siano accecate dall’avidità - se così non fosse i loro azionisti si rivolterebbero. E i politici, corrotti dalle grandi aziende, le supportano approvando leggi che danno loro il potere esclusivo di decidere chi può fare copie.

Non c’è giustizia nel rispettare leggi ingiuste. È tempo di uscire allo scoperto e, nella grande tradizione della disobbedienza civile, dichiarare la nostra opposizione a questo furto privato della cultura pubblica.

Dobbiamo acquisire le informazioni, ovunque siano archiviate, farne copie e condividerle con il mondo. Dobbiamo prendere ciò che è fuori dal diritto d’autore e caricarlo su Internet Archive. Dobbiamo acquistare banche dati segrete e metterle sul web. Dobbiamo scaricare riviste scientifiche e caricarle sulle reti di condivisione. Dobbiamo lottare per la Guerrilla Open Access.

Se in tutto il mondo saremo in numero sufficiente, non solo manderemo un forte messaggio contro la privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo un ricordo del passato.

Vuoi essere dei nostri?
Luglio 2008, Eremo, Italia


Non è in fondo così chiaro? Il concetto di proprietà intellettuale è stato distorto a favore della ricchezza di pochi sui molti. Non sarebbe meglio che i mattoncini di informazione necessari per migliorare la qualità dell’esistenza siano a disposizione di tutti?

Quinto nano: Mammolo ovvero siamo ancora attaccati alle sottane di madre natura.

Andiamo a toccare un altro nervo scoperto del problema.
Il naturale egoismo umano.
Cito la Rita Levi-Montalcini.

“Quello che in molti ignorano è che il nostro cervello è fatto di due cervelli. Un cervello arcaico, limbico, localizzato nell'ippocampo, che non si è praticamente evoluto da tre milioni di anni fa ad oggi, e non differisce molto tra l'homo sapiens e i mammiferi inferiori. Un cervello piccolo, ma che possiede una forza straordinaria. Controlla tutte quelle che sono le emozioni. Ha salvato l'australopiteco quando è sceso dagli alberi, permettendogli di fare fronte alla ferocia dell'ambiente e degli aggressori. L'altro cervello è quello cognitivo, molto più giovane. E' nato con il linguaggio e in 150mila anni ha vissuto uno sviluppo straordinario, specialmente grazie alla cultura. Si trova nella neo-corteccia. Purtroppo buona parte del nostro comportamento è ancora guidata del cervello arcaico. Tutte le grandi tragedie - la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo - sono dovute alla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. E il cervello arcaico è così abile da indurci a pensare che tutto questo sia controllato dal nostro pensiero, quando non è così. I giovani di oggi si illudono di essere pensanti. Il linguaggio e la comunicazione danno loro l'illusione di stare ragionando. Ma il cervello arcaico, maligno, è anche molto astuto e maschera la propria azione dietro il linguaggio, mimando quella del cervello cognitivo. Bisognerebbe spiegarglielo.”

Sesto nano: Pisolo ovvero la propria distrazione fa l’altrui ladro.

In definitiva, tra un sistema di security through obscurity ed uno full disclosure, paradossalmente sembra essere più sicuro il secondo. Se non c’è niente da scoprire, ma è il saper fare che permette di portare a termine il processo, allora sarà molto difficile per chi non ha le competenze venirne a capo. Diversamente, una cassaforte che può essere aperta da chiunque, una volta scoperto il meccanismo, non è molto sicura, visto che su questo pianeta siamo ormai in tanti e prima o poi qualcuno lo troverà, il modo di scassinare la nostra informazione-mattoncino.

Inoltre, non è detto che l’informazione che ho in mio possesso sia adeguata ai miei bisogni. Magari sarebbe oggettivamente più produttiva, efficace, nelle mani della concorrenza... che a sua volta potrebbe avere, senza saperlo, informazioni a me utili. Non tutti vediamo un certo mattoncino-informazione allo stesso modo. Non è detto che lo stesso mattoncino-informazione si incastri bene nel mio progetto come in quello altrui.

L’unica forma di crittografia davvero efficace per proteggere un’informazione sembrerebbe essere quella quantistica, che si basa (semplifico al massimo) sul concetto che, nel caso in cui qualcuno intercetti l’informazione prima del legittimo destinatario, l’informazione si corrompa e non sia più utilizzabile (oltre che avvisare il destinatario del fatto che lungo il tragitto dell’informazione, dal mittente al destinatario, è successo qualcosa). Se la natura umana sembra essere egoista per quanto riguarda l’informazione, l’universo invece non lo è affatto, anzi la elargisce a piene mani, ne fa uno dei suoi punti di forza per evolversi. Una forma biologica che non condivide la sua informazione con le generazioni successive  è destinata ad estinguersi.

Ora che ci penso: i sette nani della favola lavorano in una miniera. Estraggono diamanti. Tutte le mattine salutano la Bella Informazione Addormentata e, cantando in coro quella canzone che tutti conosciamo, prendono a picconate la roccia per cavarne fuori gemme preziose. Che cosa ne facciano non si sa.



Settimo nano: Guerrafondaiolo ovvero guerra e informazione vanno a braccetto.

Concludo con un esempio immediatamente percepibile nella sua drammaticità. Nello specifico, parlo di guerre che si decidono sulla base di mattoncini-informazioni. Slavoj Zizek, nel suo libro “Event – Philosophy in Transit” (Penguin 2014) cita Donald Rumsfeld, allora US Secretary of Defence, che nel febbraio del 2002, a proposito dell’intervento USA in Iraq per porre fine al proliferare di armi chimiche, affermò: “Ci sono cose che sappiamo di sapere; ci sono cose che sappiamo di non sapere; e ci sono cose che non sappiamo di non sapere.” Per questo, conviene un intervento, anche se fosse: preventivo. Zizek aggiunge: manca un caso, e cioè: “ci sono cose che non sappiamo di sapere”. Esattamente un anno dopo: siamo nella sala conferenze delle Nazioni Unite a  New York. Colin Powell annuncia ufficialmente l’intervento degli USA in Iraq. Alle sue spalle c’è un bel tendaggio blu. E’ solo uno sfondo? Pochi sanno che dietro a quel drappeggio, appeso lì per l’occasione, c’è una riproduzione a dimensioni naturali della Guernica di Picasso. Pareva brutto dichiarare imminenti bombardamenti, con quell’icona dell’arte alle spalle, e con tutto ciò che simboleggia. Ma la Bella Informazione è sempre Addormentata, e rari sono i principi azzurri che provano a risvegliarla con un bacio.


Si ringrazia Pino Conson per un imput creativo determinante alla stesura di questo articolo.

lunedì 17 febbraio 2014

Headed for success - a 25 fotogrammi al secondo

Headed for success
a 25 fotogrammi al secondo.

Dal 2009 al 2013 ho scattato 21.328 fotografie.

Sto parlando di file .jpg.

I miei genitori conservano negli album le loro fotografie di quando erano giovani, tenute ferme da angolini di plastica. Negli ultimi album ci sono anch’io, che mi esibisco in alcuni grandi classici: il primo bagnetto, sulla giostrina in sella ad una moto, paletta e secchiello in mano e i piedi a bagno in mare, cose così. Ma torniamo a noi.

Anche prima del 2009 ho scattato molte fotografie.
Le conservo in cartelle dentro altre cartelle, annidate in hard disk esterni.

Limitiamoci agli scatti tra il 2009 e il 2013.

Calcolatrice alla mano.
In un anno ci sono 365 giorni.
365 giorni per 5 anni fa 1.825 giorni.
21.328 diviso 1.825 fa 11,686575342465753 fotografie al giorno, insomma: un po’ più di 11 fotografie e mezza al giorno.
Una foto ogni due ore, dal 2009 ad oggi, ininterrottamente. Cosa avrò mai avuto da fotografare. Quale ansia mi ha fatto premere compulsivamente il pulsante dello scatto. Che cosa temevo che, da un istante all’altro, sarebbe andato perso e quindi andava salvato, conservato nella sequenza di numeri di una fotografia digitale da scrivere su un supporto di memoria esterna rispetto a quella del mio cervello.

Non ho voglia di scorrere tutte queste fotografie.

Potrei dividerle in categorie, a prescindere da quando sono state scattate. Alcune sono fotografie di famiglia: mio fratello, parenti, amici. Altre di luoghi dove sono stato, occasioni, momenti che mi stavano ispirando, ragione per cui: scattare, e immagazzinare. Altre sono strettamente legate all’arte: fotografie di miei quadri, installazioni, eventi artistici. Aggiungo per ogni evenienza una categoria che potrei chiamare: altro. Qui dentro ci sono tutte le fotografie sbagliate, casuali, che non sono venute come volevo, scartate, di cose che magari poi, a rivederle in seguito, non erano così importanti, o fonte di ispirazione così forte.

Impossibile liberarmi anche di quelle.
Disposofobia, accumulo compulsivo, nella sua variante fotografica.

Anche volendo, non avrò mai tempo di rivederle tutte.
Che cosa potrei farci: un gigantesco mosaico, lasciando che sia il caso a disporre gli scatti, e vedere qual è il colore predominante della mia vita fotografata di questi ultimi cinque anni. Così, un po’ da lontano, guardare 21.328 fotografie, di dimensioni troppo ridotte perchè si possa distinguerle; e trarne una tonalità, forse un disegno astratto.

Oppure, potrei farle scorrere velocemente una dopo l’altra, una al secondo.
21.328 secondi sono 355,466666666666667 ore di proiezione.
Quasi 356 ore di film ininterrotto. Un film che dura più di un anno.
Dimezzando il tempo di comparsa di ogni singolo scatto, siamo sempre nel mondo delle cose impossibili: un filmato di 178 ore.

Proviamo ancora.
La televisione, per dare l’impressione del movimento, spara negli occhi degli spettatori 25 fotogrammi al secondo (al cinema delle origini ne bastavano 16). 21.328 fotografie diviso 25 fotogrammi al secondo fa 853 secondi (circa). Servono cioè 853 secondi per proiettare 21.328 fotografie alla velocità di 25 fotogrammi al secondo.
Ancora troppo: 853 secondi sono 14 ore circa di proiezione.



Nel 1979, sul Time, appariva un articolo a proposito di un certo Hal Becker, ricercatore di elettronica medica della Louisiana, inventore di una scatola nera in grado di diffondere messaggi subliminali ad alta velocità e a basso volume, per circa 9.000 volte l’ora.
Una catena di supermercati dell’East Coast, installato questo apparecchio e diffondendo il messaggio subliminale insieme alla musica ambientale, ottenne una riduzione del taccheggio del 37%, durante un periodo di prova di 9 mesi.
Il messaggio subliminale era: “Non ruberò. Mi comporterò correttamente.”
Nello stesso articolo, il professor Becker affermava di aver rifiutato le richieste di assunzione da parte di diversi politici e pubblicitari.

Prima che le nostre menti inizino a macinare considerazioni a proposito di questa scoperta e del suo uso, torniamo a noi. Ho 21.328 fotografie. Non so quale sia la velocità necessaria per proiettarle affinchè non vengano percepite razionalmente dall’osservatore, ma ne ho abbastanza per farlo per molte ore di seguito.
Non intendo nascondere un singolo messaggio subliminale: ipotizzo un filmato molto veloce, che impressioni la retina degli spettatori e venga percepito dal cervello; che non venga interpretato razionalmente ed in modo narrativo, ma che comunque sia in qualche modo assimilato a livello inconscio. Ecco: lo spettatore avrebbe, forse e solo in parte, assimilato l’aspetto emozionale, molto generico, dei miei 5 anni di scatti fotografici. Una parte della mia storia sarebbe ora sua.

Non funzionerà, per molti motivi.
Perchè la stessa immagine può suscitare emozioni differenti in ciascuno spettatore.
Perchè non si tratta di un messaggio subliminale preciso, ma ottico e reinterpretabile.
Perchè ogni spettatore coglierebbe come più affini al suo modo di sentire, a livello incoscio, certe immagini più di altre, che si fisserebbero  più facilmente nella memoria.

Rallentiamo il nastro.
Le immagini smettono di sfarfallare, tornano ad essere distinguibili, una dopo l’altra, fino ad un fermo immagine, su uno scatto qualsiasi. Sembra che debba scomparire anche quello, per lasciare posto al successivo, e invece no.
Sta fermo lì.
Per un po’ lo spettatore si chiede se il filmato sia terminato; se si sia bloccato per qualche motivo tecnico. Distrazione, domande. Poi tornerebbe a focalizzare l’attenzione sullo scatto. Perchè proprio quello, se non è un errore. Un paesaggio, un ritratto, chi lo sa.
La foto resta lì sullo schermo.
Forse lo spettatore inizierà a domandarsi se c’è qualcosa di particolare, in quella fotografia, che non sta cogliendo. La guarda meglio.

Definizione di immagine: metodica rappresentazione secondo coordinate spaziali indipendenti di un oggetto oppure di una scena, contenente informazioni descrittive riferite alla scena oppure all’oggetto rappresentato, e dunque distribuzione bidimensionale o tridimensionale di un’entità fisica. Il linguaggio delle immagini è intrisecamente indeterminato, evocativo, dotato di segni che assumono valore simbolico in relazione al significato attribuito a ciò che si osserva o al valore pragmatico degli scopi della comunicazione. La formazione di un’immagine avviene attraverso la combinazione di una sorgente di energia e dalla riflessione dell’energia stessa emessa dalla sorgente da parte di oggetti di una scena; infine, di un sensore sensibile all’energia prodotta dalla sorgente che raccolga l’energia irradiata dalla scena.

Il sole, un albero, il mio occhio che raccoglie l’energia riflessa dall’albero.

Adesso, un passaggio meno facile.
Siamo nel campo delle immagini digitali.

Affinchè le immagini siano elaborate da un computer, occorre trasformarle in una rappresentazione numerica/digitale. Però in natura la distribuzione di energia elettromagnetica è continua, mentre nella digitalizzazione il campo delle possibilità di numeri da impiegarsi per descrivere l’immagine è finito. Ecco che entra in scena l’algoritmo, che da un lato deve mantenere la riconoscibilità dell’immagine, dall’altro andare incontro alla limitatezza strutturale del supporto impiegato.

Lo spettatore sta guardando un algoritmo.
Fermo lì, fisso.
Certo, riconosce il paesaggio, il volto, le sfumature, come se fosse reale, praticamente identico all’originale se avesse usato i suoi stessi occhi. Ma non esattamente.

Quando ero bambino, bastavano 16 colori per far sì che il protagonista del videogioco con il quale stavo giocando popolasse di situazioni credibili ed emozionanti la mia mente, e producesse nel mio corpo accelerazione del battito cardiaco, sudorazione alle mani, produzione spontanea di chissà quali molecole chimiche. Certo, c’era il coinvolgimento narrativo della storia, ma sempre di 16 colori stiamo parlando. Per non parlare degli spigoli degli oggetti, delle sagome quadrettose.

Mi chiedo quale sia l’algoritmo, se mai ce n’è uno, di elaborazione delle immagini da parte del mio cervello.

Lo spettatore guarda la mia foto, e nel frattempo guarda il suo modo di vedere la realtà, guarda l’algoritmo, che la natura gli ha scritto nel codice genetico, che gli consente di ordinare tutta quell’energia che gli pervade le orbite oculari.

Guardo lo schermo sul quale sto scrivendo. Non so esattamente come funzioni.

Come mio nonno, che non sapeva il funzionamento del videoregistratore, ma lo usava.
Un po’ meno le funzioni di programmazione per farlo iniziare a registrare al momento giusto, senza che lui fosse presente. Così, quando guardava tempo dopo la videocassetta, il film (che aveva deciso di videoregistrare perchè non poteva vederlo in diretta) era già iniziato, oppure c’era un pezzo di film precedente, e poi un sacco di pubblicità.

mercoledì 12 febbraio 2014

K-Hole Teater: Finchè morte non ci separi starts February 18, 2014 at 09:30PM

K-HOLE TEATER: TUTTI I MARTEDI' al K-HOLE una nuova rassegna dedicata alle PERFORMING ARTS e al TEATRO INDIPENDENTE. In collaborazione con P-Ars Andrea Roccioletti Studio Ingresso GRATUITO per i soci MSP Uscita...a cappello! K-HOLE Art Social Club | via S.Agostino 17 | Quadrilatero Torino http://ift.tt/1dhfUZG MARTEDI’ 18 FEBBRAIO ore 21.30 "Finchè morte non ci separi" di Francesco Olivieri reading + performance di Karin De Ponti, Cristina Conti e Marco Nicosia Il progetto nasce da un fortunato incontro dell'autore con una delle interpreti che, sensibile al tema, sposa l'idea di creare una rete di artisti, che contemporaneamente si esibiranno nella stessa giornata, creando una rete di denuncia amplificata a livello nazionale. "Finché morte non ci separi" è la storia di due donne che vengono ammazzate dai loro rispettivi compagni. È una denuncia contro il femminicidio scritta da un uomo che si è messo nei panni delle vittime. Due donne all'apparenza molte diverse, una che rispecchia tutti i luoghi comuni della donna maltrattata e spesso uccisa, l'altra che elude ogni luogo comune e che nonostante viva una vita agiata e ripiena di affetto finisce come l'altra. Con ironia e allo stesso tempo con toni tragici entrambe narrano da morte la loro condizione fino al momento dell'uccisione. Il messaggio che vuole dare l'autore è: cambiando l'ordine dei fattori il risultato non cambia. Un invito alla riflessione e al porsi delle domande serie su come affrontare questo dramma che sempre più spesso si manifesta sul territorio nazionale. ************************************* ************************************* K-HOLE Art Social Club è il nuovo spazio indipendente per le arti contemporanee gestito da Kaninchen-Haus e diretto da Brice Coniglio (Coniglioviola). Sul solco degli art cafè che a fine ottocento nascevano in opposizione e alternativa al contesto borghese delle gallerie, il K-HOLE, con i suoi 360 metri quadri disposti su tre livelli, si propone come nuovo spazio condiviso di produzione e fruizione culturale. http://ift.tt/1dhfUZG http://ift.tt/1dhfUZK K-HOLE via sant’agostino 17 | Quadrilatero, Torino. ************************************* ************************************* K-HOLE TEATER // PROSSIMI APPUNTAMENTI: MARTEDì 25 FEBBRAIO ore 21.30 "Scarafaggi" - Compagnia Zeropalco

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martedì 11 febbraio 2014

House of passage


A project for: Creating site-specific dance and performance works
House of passage - P. Kirkeby | Stephan Koplowitz | Andrea P-Ars Roccioletti

The place is located in a quite suburb of the city. Nearby there are many busy streets, and the garden that surrounds the architectural structure is like a green island. It is frequented by people who live in the surrounding area, as children and old people. The architectural structure is a work of Per Kirkeby. The municipality of Turin has promoted this work as part of a redevelopment project area.


Currently the work is not "lived" by the locals. Most of the people observed it by the stopped cars in traffic. At first my observation (I spent a lot of time here) the feeling of incompleteness of the structure acts as a contrast to the surrounding palaces: therefore I would like to create something on the sense of unfinished that this work shall, in relation to his being trapped in the city traffic.

While, in fact, the homes where we normally conduct our lives, are "concluded", but we continually fill with home furnishings, on the other hand we have this space incomplete, never satisfied, which creates tension between two opposite: that of living permanently, and that of being just passing through.

The action of the performance will take place within the architectural structure called "Opera for Turin" by Per Kirkeby (2005). The structure itself will be the central element in the performative. There are two perspectives of participation. The first, for the public placed in the area marked by the letter A. The second, thanks to a camera placed inside the structure (letter B): the audience can watch in streaming on mobile devices such as mobile phones, tablets, etc., what happens inside the structure itself.

The dual perspective of observation that interests me is the outside, front, very often but never lived daily with due attention to the work, while the inner one, thanks to the artifice of live video streaming, which allows you to see what happens "inside" of the frame as an additional "eye" on the "private" performance of dance.

 

 



This will emphasize on one hand the particular geometry of the structure, from a regular external point of view, but irregular inside, and therefore to live not only his appear frontally but also as a solid element with an internal volume, populated by the dancers.

The structure has the characteristic of looks like a building under construction. In fact, it is in its minimalism, and in its basic structures represent, that is all its power. Indeed, it seems like an unfinished house, with windows and doors, but neither doors nor without furniture other items of home. For this reason, well represents a place in the middle between the passage and the possibility to stand, between complete and incomplete.

The possibility to relate to the physical engagement of the performers stand outside or inside; crossing or staying in the spaces that connect the interior with the exterior, in performing actions within only partially visible from external.

In the case of a night performance, the lights already present in the pavement within allow play of light and shadows; may also be obscured with the bodies of the performers, not only for the audience who attends the performance outside of the structure, but also by those who follow the action on their mobile devices.

Not have been set up earlier performances in this location. The space has been awarded to Per Kirkeby as part of a redevelopment of abandoned and disadvantaged areas of the city.

The space is now a destination for people passing by the gardens, but is mainly observed by people standing in the traffic of the road. At the time of its construction was the subject of much criticism, especially on the part of citizens, and a structure may be too minimal and conceptual. Other art critics instead consider it an important work, perhaps too pretentious compared to expectations and understanding of the people living nearby.

The public can sit on the grass, and stakeholders will be involved to provide, where appropriate, the provision of mats and pillows to make the area more comfortable.

The viewing position of the public are indicated by the letter A in the previous photographs at the link marked. Moreover, with the aid of mobile devices, tablets, etc., may follow the action from the point of view of the interior of the structure, connecting to a streaming channel that will broadcast live for the duration of the performance, thanks to a camera placed inside the structure.

In this way, two will be the points of view of the performance to the audience: in front of it there will be the structure and performers who interact with it; in case of mobile devices, may also follow what happens inside of the structure, from a point of view that would not otherwise visible. The contrast between these two points of view serves to increase the content of meanings by the way of "being" in the building, or see the action only from the outside.

The area in front of the structure where the performance will take place can accommodate about two hundred people. Will be limited, especially in order to avoid that some people stay in areas not permitted by law and dangerous, such as the cars area, which is already partially closed to the public by a fence of metal. It is not expected to pay a ticket, also to prevent many, to follow the performance, occupy spaces not permitted by law.




Home of passage

The performers will dance within, across and outside the structure. It 'a site-specific work, focused on common use as a place just passing through, to make it a place of occurrence. Also, the second problem addressed will be to impermanence, and dwelling in a space not completely finished. The work of the dancers will also be structured in such a way as to emphasize the concept of private space and public space, understood as a private house as opposed to the public space of the street

From these considerations it is also due to the use of the camera placed inside the structure, which will allow the audience present not only to follow the performance from viewers outside of the structure, but also on mobile devices, to observe what happens to the interior of the structure.

The importance of this work aims to make the location a place of reflection for the audience of what is public and what is private, and therefore what is owned and what it is that is in common use; in addition, the structure of thin and minimal back to thoughts related to the concept of impermanence, and how much of our private homes is absolutely temporary and not permanent as we usually think. At this theme is also connected to the one of the homeless, who see in this artistic structure a chance to find shelter, although not quite hidden the formal architecture of the walls, as is the case for our homes.

The audience will be seated on the grass in front of the structure, and will observe the performance in front of him. Moreover, thanks to a camera in the building, will observe streaming to mobile devices what happens inside.

The performance will take a strictly narrative structure, with parts carried inside, near the openings and outside of the structure. It will be based on Propp's functions in such a way as to be readily noticeable and readable as a narrative, with a beginning of an individual who "lives" the structure, followed by the group of performers, and a series of actions that will take place before all 'inside and then the outside.

The performance will take place at night, and will also benefit especially the lights placed on the floor inside the structure. The bodies of the performers themselves will provide a barrier to light, so that it can darken and brighten again the inner sections of the structure. Will they start moving, and then vacate the light inside the structure, and therefore the structure will take shape and thickness due to the alternation and the appearance of human figures in motion.

The performers will be fifteen, so that they can comfortably use all the openings of the structure, and to offer screen lights placed on the pavement. There will be times when they are all present, and others in which only one of them will move inside and outside the structure. All the "dialogue" with the audience will be played on the contrast, as well as inside and outside the structure, including single performer element solitary and group of performers that follows the initiatives.

The clothes are very simple and neutral. Aside from the lights are already on the floor of the facility, will be used four lights to illuminate the facade of the architectural structure. Also, within the structure shall be placed a camera connected to the Net, to stream what happens inside the structure, which is not observable by the public except with the use of mobile devices such as mobile phones, tablets, etc.. The vision will be possible by connecting to a site that sends free images shot inside the structure. To the right and left of the public there will be speakers for the soundtrack. The soundtrack will be all based on noise "lonely", footsteps, sounds very simple, as opposed to sounds "in crowd", as well as the backing track. This will highlight the work of the two forces in the field embodied by the performers: that of the individual and that of the mass that follows it.

* * *

1. Production Management Team

1a - Producer
The producer shall also relate to the institutions and stakeholders
1b - Project Manager/Coordinator
Coordinator between the various artists and professionals involved in the project, those who will take care of communication to composers to charts, so that the final product is consistent with the purpose and the "color" of the performance.
1c - Technical Director
Technical Director who coordinates the technical and labor for wiring, positioning lights and loudspeakers.

2. Creative Team
2a - Composer
The composer will create the soundtrack and sound environmental performance
2b - Costume Designer
Realize the costumes for the performers, in close relationship with the other artists involved
2c - Lighting Director
Study the best lighting as designed, and will provide for lighting design.
2d - Sound Designer
Will study the arrangement of the loudspeakers to the audience, and the performers
2e - Video/Web Director
Will deal with the positioning of the camera and directing cutting for shooting live within the structure to be transmitted in streaming.

3. Performers
3a - Dancers
They will be the performers of the evening, and follow not only the work of the choreographers but will also be in close contact with other artists and professionals involved.

4. Production Staff
4a - Technical Crew
They will take care of the placement of lights, wiring, positioning of the loudspeakers.

5. Production Costs
5a - Support space rental
They will ensure the recruitment and placement of the cushions to the public, and the barriers that delimit the area of performance.

6. Technical Costs
6a - Costume Construction
Implementation of stage costumes, or adjustment according to the measures of the performers.
6b - Lighting Rental
The rent of the lights that illuminate the area of ad hoc performance, and light-security to lead the audience in the dark of the field where the performance will take place, and escape in case of emergency.
6c - Sound Equipment
Loudspeakers, for the audience and for the performers.
6d - Video, Internet Connection, Server
All the necessary hardware to wirelessly stream shooting from inside the structure, for the audience that will
follow also with mobile devices.

7. Pre-Production Costs
7a - Rehearsal Space
Rent holiday in the test room for performers, and the creative team that will coordinate the various tasks relating to the performance.

8. Marketing and Promotion
8a - Design (print and web)
Graphic designers and communicators for the creation of posters and communication online and offline.
8b - Printing
Printing of posters to be posted around the city, plus permits posting (would be considered under "legal", but we count them here) and labor costs for the posting (also counted here).
8c - Photography
Photos of the scene for the implementation of the campaign online and offline, photos of the evidence, the location, post-processing graphics, etc..
8d - Social Media Cost
Involved in the print campaign online, on social and email.
8e - Paid Advertisments
Paying ads offline and online, fee, and maintenance.

9. Documentation
9a - Photography
Photographer who documents the performance
9b - Video Documentation (Performance)
Videographer and director replicating the performance, and also mixino with images taken from the camera
positioned within the architectural structure during the performance itself.
9c - Video Documentation (Process)
Videographer who will follow all the stages of development of the performance, from the production of the scene until the final staging
9d - Video Editing

10. Administration
10a - Insurance
Costs of "Public Accountant" and "Consultant of Work", taxes on "Association"*
10b - Legal
"Insurance", "Practicability", "Permits SIAE on Intellectual Property", "Taxes on Security"*
 * Fees and costs of engagement of necessary legal in Italy for a public production.